A Bologna disegnava chiese e palazzi, cortili, le porte della cerchia muraria, archi trionfali dedicati al Papa. Giuseppe Antonio Landi era abile nel disegno e nell’incisione. Aveva, come si dice, un’ottima mano. Era stato allievo di Ferdinando Bibiena, il capostipite della famosa dinastia di scenografi attiva nel Settecento in diverse corti europee.
Nato nel 1713, Antonio Landi aveva studiato all’Accademia Clementina respirando il clima culturale della sua città. Bologna era nota in quel tempo per la pittura illusionistica d’architettura. Tecnici specializzati dipingevano le facciate dei palazzi con una tecnica nuova per renderli più sorprendenti e sontuosi. Landi era uno di questi maestri d’illusione. Il più bravo. Fondali dipinti sui muri, finte prospettive nei giardini, decorazioni teatrali ed effimere: un’architettura d’inganni che assecondava la voglia di stupire tipica dell’epoca. Bologna era la capitale dell’illusione. Era anche la seconda città del papato, dopo Roma. Sfarzo e opulenza. Landi creava fantasie, spazi immaginari: volava con la mente.
Ma nel 1750 le sue fantasticherie lo portarono lontano da Bologna. Era stato appena nominato professore all’Accademia, quando gli fu proposto – da un emissario del re del Portogallo – di partire per il Brasile con la spedizione incaricata di tracciarne le frontiere. Con il trattato di Madrid, Spagna e Portogallo si erano accordate sulla spartizione dei territori nel Nuovo Mondo, ma non avevano geografi capaci di segnare i confini. Solo le Università italiane erano in grado di fornire questo personale.
Landi fu ingaggiato come disegnatore di carte geografiche insieme a un altro italiano, l’astronomo Angelo Brunelli. Le loro mansioni erano complementari: uno osservava le stelle, l’altro classificava la flora e la fauna. Incaricati di tracciare la linea divisoria tra i possedimenti spagnoli e portoghesi in Brasile, rimasero parcheggiati a Lisbona per tre anni, a causa della morte del re. Finalmente nel 1753 la “Commissione per la demarcazione delle frontiere” si imbarcò al gran completo alla volta del Brasile. Guidava la spedizione il governatore dello Stato del Pará, Francisco Xavier de Mendonça Furtado.
Quando la nave giunse al porto di Belém, capitale del Pará e sbocco dell’Amazzonia, agli occhi di Landi apparve il mondo rigoglioso della foresta. Un mondo magnifico, che si sposava alla perfezione con le volute floreali e le forme sinuose del barocco. La selva, col suo intreccio di alberi, i fiumi, gli uccelli colorati, sembrava un nuovo e diverso fondale. Un fondale che sarebbe stato bello dipingere sui muri della vecchia Bologna. Ma qui tutto era nuovo, e a Landi non restava che portare Bologna nel cuore dell’Amazzonia: portare Bologna nella foresta, come un velario trasparente di architetture dipinte.
Landi cominciò, da vero naturalista, con i disegni degli animali, delle piante della foresta e di tutto ciò che vedeva per la prima volta nella “Capitaneria del Gran Pará”. Aiutava Brunelli nell’esplorazione del cielo e, intanto, si faceva notare come disegnatore di architetture. Alcuni suoi disegni di sepolcri, a forma di tempietti dorici, furono inviati al vescovo del Pará che ne permise la realizzazione per la cappella di Sant’Anna nella chiesa di Barcelos. Da quel momento Landi diventò l’architetto ufficiale dell’amministrazione portoghese nel Pará. Disegnò e costruì edifici civili e religiosi tra i più belli del Brasile, molti dei quali oggi dichiarati monumenti nazionali, come il Palazzo del Governatore a Belém, la chiesa del Carmine, la cappella di San Giovanni, sempre a Belém.
Landi fu anche il regista delle feste popolari nelle città coloniali. Lì, tra fuochi d’artificio e macchine teatrali, addobbi delle chiese e fantasiose decorazioni, mescolò le illusioni sceniche bolognesi con le tradizioni indigene. Il giorno di San Bartolomeo arrivò addirittura a celebrare, in piena Amazzonia, una bolognesissima Festa della porchetta.
Il 1759 fu il suo anno fortunato. Disegnò le facciate di tre chiese nei villaggi di Cametá, Gurupá e Igarapé-Mirim e venne nominato amministratore della fabbrica di mattoni di Belém. Poi organizzò la festa di matrimonio dei principi, Donna Maria e Don Pedro. Infine, sempre a Belém, avviò la costruzione della chiesa di Sant’Anna, un gioiello dell’architettura neoclassica. Si deve, infatti, a Landi l’introduzione a Belém dello stile neoclassico, quando tutto il resto del Brasile era ancora fermo al barocco e al rococò. Così, quando nel 1761 la Corte portoghese reclamò il ritorno di Landi a Lisbona, il governatore del Parà fece di tutto per trattenerlo. Per essere sicuro che rimanesse, gli fece sposare la figlia di un ufficiale portoghese proprietario di una grande fazenda.
Si spiega in questo modo la presenza, nell’Amazzonia brasiliana, di tante chiese che potrebbero trovarsi benissimo in Emilia-Romagna. Sorprendenti analogie si notano, ad esempio, tra la chiesa della Sé a Belém e quella di San Mattia a Bologna.
Landi morì il 22 giugno 1791 nella fazenda di Murutucu, dove provava a fare anche l’uomo d’affari e disponeva di 47 schiavi. Grazie a lui, la cultura bolognese ha raggiunto l’Equatore.