La scomparsa di Lucio Gambi, un intellettuale considerato il più grande geografo italiano, non ha ricevuto la giusta attenzione dai media. Lo ricorda con rammarico, in un articolo pubblicato su l’Unità del 24 settembre scorso, un amico, Vittorio Emiliani, scrittore e collaboratore Rai, pure lui romagnolo, di Predapppio, mentre Gambi era nato a Ravenna nel 1920.
Gambi – ricorda Emiliani – “veniva dall’esperienza formativa della Resistenza alla quale aveva partecipato come azionista. Di lui si ricorda, prima che s’incamminasse verso gli alti studi, la creazione in Romagna di una radio popolare che seguiva in diretta i processi ai gerarchi fascisti. Un impegno politico che, sia pure espresso in termini culturali, non venne mai meno. Negli anni cruciali e febbrili del Movimento, dopo il ’68, Gambi fu, con Marino Berengo e Franco Catalano, il docente che più si espose, alla Statale di Milano, nel partecipare al tentativo di dare un altro senso all’Università sin lì “baronale”, con la cattedra lontana, a volte lontanissima, dagli studenti.
Poi – pur mantenendo sempre casa a Firenze – tornò nella sua terra, cioè in Emilia-Romagna, avendo cattedra a Bologna. Dove fu anche il primo presidente dell’Istituto Regionale dei Beni Culturali, che negli intendimenti dei fondatori doveva essere un organismo di alta qualità scientifica al servizio della programmazione e della pianificazione regionale. Uno dei dati di fondo della vita e del magistero di Lucio Gambi, fra l’altro oratore suadente e lucido scrittore, rimase sempre la visione larga, planetaria, dei problemi della geografia umana e, insieme, l’interesse puntato sui problemi della storia e dell’esistenza, individuale e collettiva. Convissero in lui gli studi sulla megalopoli e quelli sulla casa rurale dell’Appennino o della pianura, la vasta monografia sulla Calabria, oppure il lavoro di gran mole su Milano e la partecipazione al convegno locale, per esempio sulla marineria romagnola, adriatica in generale, dal quale, grazie anche alla sua regìa, doveva poi scaturire, a Cesenatico, il solo museo galleggiante dedicato alla gente del mare, alle sue barche con le vele giallo ocra e rosso scuro, a losanghe, coi simboli di famiglia”.
Uno dei punti di partenza dell’opera storica di Lucio Gambi è stata una monografia dedicata alla ricostruzione delle vicende idrauliche della Romagna e del basso Po, dall’evo antico fino alle grandi trasformazioni indotte dalla bonifica più recente nelle strutture agrarie e nell’insediamento umano di quel territorio. Già in quel lavoro giovanile, appare rilevante e vasto il terreno d’incontro tra geografia e storia sul tema, particolarmente importante per il territorio italiano, della bonifica. Ma viene trattato anche il mondo dei campi che incontriamo al di fuori degli ormai incerti e perduti confini delle città. Quello che un tempo era una mirabile fusione di elementi biologici e di funzioni produttive agricole, oggi appare sempre più come spazio residuale, come non-città, talora come fabbrica verde. Esso resta, nondimeno, un paesaggio umano, così come era ed è paesaggio umano non solo quello delle città e delle organizzazioni urbane (altro tema caro a Lucio Gambi), ma anche quello della piantata di alberi, del podere, della cascina, della “larga” e della bonifica, del castagneto e dell’oliveto.
Il paesaggio agrario, dunque, come sintesi geografica e storica, ma anche come limite.
Lucio Gambi – ricorda ancora Emiliani – “aveva speso molte delle proprie energie nello studio del paesaggio umano, osservandolo, studiandolo in una fase di trasformazione tanto profonda – per esempio, la estirpazione della “piantata” di pianura, risalente agli Etruschi e ai Celti – da prefigurarne la scomparsa. Specie in quella pianura resa dalle macchine sempre più piatta e pelata. Era uomo di improvvise accensioni, con gli umori tipici delle sue origini. Un anno, al premio Cervia per l’Ambiente, dove lui era in giuria, dopo la cerimonia nel piccolo, delizioso teatro della città delle saline e delle pinete, proprio in un enorme magazzino dei “pignaroli”, alla Bassona, si tenne una cena affollatissima. Siccome faceva già un freddo autunnale, il sangiovese corse generosamente. Alla fine, insomma, un coro intonò la famosa canzona degli “scariolanti” ravennati, i braccianti della bonifica, che già nella notte si avviano al lavoro con le carriole (“A mezzanotte in punto/ si sente un gran rumor”) e, nell’attacco, il noto geografo Lucio Gambi, alzatosi in piedi, esibì, da solista, una nitida voce tenorile.
Si ricordano ancora i suoi corsi affollatissimi all’Università Statale di Milano. Parlava – il
professore di geografia – dei cibi delle terre calde, facili a deperirsi, fortemente speziati. Dei formaggi dei nomadi siberiani, tenuti a fermentare tra la sella e il cavallo. Di carovane mediterranee complesse come microcosmi. Di greggi condotte lentamente lungo
l’erba dei tratturi e – all’ombra di quel pendolarismo – del sapiente artigianato dei pastori e delle loro famiglie. Erano discorsi impregnati di teoria del territorio, di letture interdisciplinari, tese a cogliere i numerosi e intricati processi del tempo, il senso complesso degli spostamenti, quelle relazioni e quelle parentele fra terre e uomini sui quali ancora ci interroghiamo e ci interrogheremo sempre.
Lettura di Fulvio Redeghieri.