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23 Gennaio 2007 | Archivio / Protagonisti

N°44-I PROTAGONISTI DI IERI E DI OGGI

Antonio Franchi “il re dei suonatori d’organetto” e Guglielmo Puelli con l’orso ammaestrato.
Racconto tratto da “Per procacciarsi il vitto. L’emigrazione dalle valli del Taro e del Ceno dall’ancien régime al Regno d’Italia” di Giuliano Mortali e Corrado Truffelli.

Un libro di Christian Catomeris, pubblicato dal Comune di Stoccolma, intitolato Gatti di gesso e organetti, descrive dettagliatamente la corrente migratoria che, tra il 1896 e il 1910, portò in Svezia parmigiani e piacentini, lucchesi e casertani: una pittoresca schiera di musicanti girovaghi e venditori ambulanti, stuccatori e mosaicisti, e che, pur rappresentando meno dell’uno per mille dell’emigrazione complessiva italiana dell’epoca, ha lasciato tracce indelebili nel costume, nel ricordo e nella vita di Stoccolma, introducendo nel gergo quotidiano persino parole che oggi fanno parte delle espressioni dialettali della capitale.


Coloro che provenivano dalle province di Parma e Piacenza, rappresen­tavano un terzo della comunità italiana residente in Svezia a quell’epoca; erano prevalentemente suonatori d’organetto, che giravano per le desolate regioni nordiche, accompagnati da scimmiette e da orsi, esibendosi nei ca­solari dispersi della provincia o nei cortili dei caseggiati delle città, Provenivano dai comuni delle valli del Nure, del Ceno e del Taro, da Po­denzano e Fontanellato, Bettola e Medesano, Farini d’Olmo e Varano de’ Melegari, Bardi, Ferriere, Varsi, Valmozzola fin su, a Bedonia, Tornolo e Tarsogno.


Dallo strumento meccanico che portavano a tracolla, diffondevano le note dei valzer di Strauss e brani di opere, mentre dalla gabbietta un variopinto pappagallo estraeva col becco un bigliettino sul quale l’acquirente poteva leggere «la fortuna».


Trovarono in Svezia altri connazionali che da tempo vi si erano stabiliti definitivamente, e che li aiutavano noleggiando gli organetti e quanto serviva alla loro professione. Tra questi, uno dei più conosciuti era Antonio Franchi di Tarsogno, «re dei suonatori d’organetto».


Alcuni decenni dopo, Hasse Zetterstrom, leggendario columnist e auto- re di numerosi lavori teatrali, parlando di lui, scriveva: «Tutto procedeva in modo monotono, ma di tanto in tanto avveniva qualcosa che provocava un’interruzione negli avvenimenti quotidiani. Arrivava Franchi. Franchi era un suonatore d’organetto che girovagava per i cortili della città. Era un italiano, un bell’uomo dalla pelle bruna e con una voce e un paio d’occhi che costringevano le ragazze ad abbandonare di colpo le faccende domestiche finché egli s’intratteneva nel cortile. C’erano molti suonatori ambulanti d’organetti che girovagavano per la città, ma Franchi era il più eminente. Era il re tra i suonatori d’organetto e si diceva che possedesse tutti gli strumenti che circolavano in città, ch’egli noleggiava ai connazionali, guadagnando un sacco di soldi. Sembrava persino offensivo gettargli una monetina dalla finestra e alla fine dell’esibizione, inchinandosi galantemente, mandava in visibilio le donne e le ragazze affacciate alle finestre … ».


Al leggendario e intraprendente tarsognino venne attribuito anche il merito di aver introdotto in Svezia il gelato, assumendo alle sue dipenden­ze Pietro Ciprian di Forno di Zoldo in provincia di Belluno, divenuto poi famoso per la bontà del suo gelato, che ancora oggi, dai discendenti, viene prodotto nel rispetto della sua ricetta segreta, e venduto con eguale successo a Stoccolma.


Antonio Franchi si era recato in Svezia nel 1881, dove la fortuna gli aveva arriso, aveva aperto un negozio di stucchi, si era sposato con una svedese e aveva avuto figli. Il figlio Giuseppe poté studiare il flauto ed esibirsi in diversi spettacoli locali; la sua fu, però, una triste storia; si arruolò volontario nel 1918 durante le guerre che sconvolsero quella regione, fu decorato e promosso tenente sul campo per aver bloccato con un manipolo d’uomini 1’avanzata del nemico, facendo saltare in aria un ponte della ferrovia. Fu poi volontario in Estonia per combattere i bolscevichi ma, forse a causa di incomprensioni e di inimicizie a sfondo razziale, fu accusato di tradimento e condannato alla fucilazione.


Ad eccezione di Antonio Franchi, si sa molto poco degli altri suonatori ambulanti dell’epoca; tra i girovaghi che si esibivano con l’orso e che suscitavano grande ammirazione e timore tra il pubblico, il più famoso fu Guglielmo Puelli di Varano de’ Melegari. Arrivato in Svezia verso il 1880 proveniente dall’estremo Nord, dopo aver attraversato la Russia e la Finlandia, aveva conosciuto la svedese Johanna, che aveva sposato e che lo seguì vendendo palloncini e giocattoli durante tutta la sua esistenza di girovago.


Aveva lavorato alle dipendenze di un circo, prendendo dimestichezza con le belve e, acquistato un orso gigantesco in Russia, che pare abbia personalmente ammaestrato, decise di mettersi in proprio. Dalle notizie pubblicate sulla stampa dell’epoca si apprende che Puelli dormiva in compagnia dell’animale per proteggersi dal freddo durante le gelide notti nordiche. «È un amico di gran lunga migliore di un essere umano», dichiarò a un giornalista, incuriosito dalla docilità dell’animale; il giornalista riferì anche che, durante un’esibizione in un paesino della Svezia settentrionale, avendo 1’orso notato che alcuni spettatori ubriachi cominciavano a diventare aggressivi, era intervenuto in difesa del padrone distribuendo zampate ai malintenzionati, costringendoli alla fuga.


L’orso di Puelli mangiava di tutto, dal miele al fieno, ma pare avesse un debole particolare per la birra; la sua abilità nell’esibirsi in pubblico consisteva nel muoversi goffamente a tempo di musica stando in posizione eretta e appoggiandosi a un lungo bastone. Inoltre si cimentava nella lotta con il padrone che lasciava sempre vincere, tra gli applausi del pubblico.


All’inizio del 1890, Puelli, stabilitosi a Stoccolma e esortato dalla moglie, decise di vendere 1’animale trasformandosi in stuccatore; rimpianse, però, fino alla fine dei suoi giorni, la vita libera di girovago e il fedelissimo orso, che nel frattempo era deceduto, era stato imbalsamato, ed era esposto nella vetrina di un negozio della città vecchia, ove Guglielmo Puelli trascorre­va ore intere in contemplazione davanti all’amico rimpianto.

Brano corrente

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