Continuiamo la serie di letture tratte da un libro molto interessante sull’emigrazione parmense, recentemente uscito presso l’editore Diabasis di Reggio Emilia. Si tratta di “Per procacciarsi il vitto” di Giuliano Mortali e Corrado Truffelli. Grazie a un vasto lavoro di ricerca effettuato presso gli archivi di Stato e parrocchiali, gli autori ricostruiscono la storia dell’emigrazione parmense, in particolare dalle valli del Taro e del Ceno, dall’ancien régime al Regno d’Italia. La storia che viene raccontata è spesso la cronaca di vite assillate da problemi e povertà per noi quasi inimmaginabili. Ma è anche la fotografia di una grande capacità di reazione, di un’intraprendenza che la nostra montagna ha sempre dimostrato. Dal microcosmo dell’Appennino parmense è partita gente coraggiosa, che si è inventata in giro per il mondo i mestieri più disparati per sopravvivere. Erano quasi dei “professionisti” dell’emigrazione, i nostri valligiani, con uno spiccato senso dell’avventura. Per questo alle vicende umane raccolte nel libro di Mortali e Truffelli ci si appassiona come ad un romanzo.
Andrea, quattordici anni accolto e adottato in una casa in Boemia
È interessante e a lieto fine l’odissea di Andrea Reboli fu Giovanni e di Maria Corvi, di Compiano. Il 18 gennaio 1851, si presentava al Podestà di Compiano Guglielmo Belli di Masanti, suonatore d’organo, dichiarando che, sul finire del 1848, condusse in Boemia il Reboli, di anni
Dalle denunce presentate, nel 1850, dal Belli al Tribunale di Oberwie-senthal (in Sassonia sul confine con l’attuale Repubblica Ceca), da lui prodotte come giustificativo della mancata riconsegna di Andrea, si evince che il ragazzo era sfuggito al padrone e era rimasto latitante per sei giorni; gli . era nuovamente sfuggito a Gorkau (circa
Il 31 gennaio 1851, il Belli inviava una supplica al Ministero di Grazia e Giustizia: «Partiva di questi Regi Stati nell’anno
Nonostante le accurate ricerche, il ragazzo non veniva trovato. Venivano anche inviati i suoi connotati e altre notizie: all’epoca dello smarrimento vestiva «calzoni di panno turchino, beretto nuovo di veluto celeste, ed una sopraveste di tela cottone color celeste». Frequentava la città di Leitmeritz ed altro di quei dintorni, e «per lo più stava col suo padrone Belli Guglielmo e con altri tre garzoni che sonosi ripatriati dal Belli stesso. Non portava con lui verun strumento».
Dopo tre anni dalla scomparsa, il 26 maggio 1853, arrivò la buona notizia dal Console a Vienna: «Questo giovane è stato ritrovato grazie alle ricerche ordinate dal governo imperiale, nell’abbandono e nella miseria in cui era, è stato raccolto da un uomo caritatevole, proprietario a Britzen in Boemia a nome Giuseppe Liebscher, il quale gli fatto apprendere la lingua tedesca. Risulta dal processo verbale disteso nanti l’autorità competente che il giovinetto Reboli fu abbandonato da un suonatore d’organo portatile nell’albergo di Leitmeritz; che non avendo egli più denaro ne’ il suo compagno essendo più tornato a rilevarlo, egli abbandonò l’albergo e si mise a mendicare; e che essendosi presentato in qualità di mendicante in uno stato di totale sfinimento e tutto lacero alla porta della casa di Liebscher, questi l’accolse con bontà nella sua casa, e provvedutolo di vitto e di vestimenti ebbe la premura di mandarlo a scuola. Dichiara inoltre il detto Liebscher di voler ritenere presso di sé questo giovinetto e d’avere per lui le premure di un padre, la qual cosa il Reboli da parte sua dichiara di accettare volentieri, nutrendo tuttavia desiderio di poter rivedere sua madre. Nel caso che i parenti di questo giovinetto desiderassero che a loro fosse rimandato dovrebbero far tenere al Liebscher il denaro occorrente pel viaggio. Le ricerche precedenti non condussero ad alcun risultato perché il Reboli non parlava che l’italiano, e non ha potuto porgere al suo benefattore Liebscher notizie sulla propria condizione e sui propri antecedenti, che dopo aver imparato per le sollecitudini di lui la lingua tedesca. Le quali cose io prego V. S. Ill.ma di partecipare ai parenti del fortunato giovinetto Reboli e principalmente alla madre di lui, interrogandoli in proposito e facendomi poi conoscere le determinazioni affinché possano essere assecondate presso il governo imperiale».
Il 29 giugno 1853 il Podestà di Compiano riferì: «Ho partecipato alla Corvi Maria di Compiano e a Corvi Giovanni di Borgotaro, questo zio e quella madre del giovane Reboli Andrea le cose esposte nel dispaccio. Si l’una che l’altro soddisfattissimi delle paterne cure prodigate all’anzidetto Reboli dal Giuseppe Liebscher, mi hanno pregato di esternare al medesimo i loro più vivi sensi di riconoscenza e di rendergli le più distinte grazie, e di fare in pari tempo valevoli uffizi, acciò il prelodato sig. Liebscher tenga ancora presso di sé il giovanetto Reboli, almeno sino a tanto che la madre sua sia in grado di sostenere le spese occorrenti per farlo ripatriare. E questo sarebbe desiderio dei nominati parenti, fosse fatto conoscere al mentovato signor Liebscher, onde io ne fo preghiera a V.E.».
Questa vicenda offre un interessante spaccato sulle attività di questi suonatori girovaghi. Innanzitutto da un breve cenno si apprende che il Belli aveva altri tre garzoni al suo servizio, questi regolarmente rimpatriati. Il mestiere era quello di suonato re d’organo con figure movibili. La loro attività si svolgeva nelle cittadine di confine tra
Si può notare la furba mossa del benefettore Liebscher, che, desiderando tenere con sé il ragazzo, chiedeva che i parenti gli mandassero i soldi per il viaggio, e la contromossa della madre e dello zio i quali, vedendo la buona sistemazione di Andrea, dopo tanto averlo cercato e dopo cinque anni che non lo vedevano, considerato che si era ben collocato, lo lasciavano volentieri in Boemia.