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8 Febbraio 2007 | Archivio / Protagonisti

N°46-I PROTAGONISTI DI IERI E DI OGGI

De Tomaso, meccaniche emozioni.


L’industriale italo-argentino ha creato un marchio automobilistico di grande prestigio. Dalla Vallelunga alla Guarà, le sue vetture hanno contribuito a diffondere  nel mondo il nome di Modena, città dei motori.


Vita di Alejandro De Tomaso e delle sue vetture


Gli ultimi suoi due angeli custodi sono stati la segretaria e un’infermiera. Dopo l’ictus che l’aveva colpito nel 1993, i medici – racconta Alejandro De Tomaso – “mi dissero che solo il due per mille si salva da quella malattia”. Lui invece, prima di concludere il 21 maggio 2003 la sua esistenza all’Hesperia Hospital di Modena, è andato avanti dieci anni: “Ho fatto come tutti quando c’è di mezzo la vita”, spiega. Con l’esistenza appesa a un sottilissimo filo, tra una cura e l’altra nella stessa clinica ferrarese che ospitò Federico Fellini e un centro di recupero a Innsbruck che ospita anche gli astronauti al ritorno dalle missioni nello spazio, non aveva perso la voglia di fare, combattere, comandare. Gli ordini li impartiva dal suo quartier generale di Modena, il lussuoso hotel Canalgrande, di sua proprietà. Faceva fatica a parlare e spesso era costretto sulla carrozzina; ma solo qualche anno fa, dopo l’ictus, e con una paresi ai muscoli oculari, si era buttato in una nuova avventura: fabbricare in Calabria la versione europea del fuoristrada russo Uaz-Simbir.


Era un uomo, Alejandro De Tomaso, con le sue idee: arrivò a chiamare gli operai “nuovi barbari” e a concedere aumenti solo in base al merito perché – diceva – “gli aumenti uguali per tutti degradano il lavoro”. Dall’Argentina – dov’era nato nel 1928 da un padre eminente uomo politico, più volte ministro, e da una madre appartenente a una ricchissima famiglia di allevatori e proprietari terrieri, se ne andò nel ’55, in contrasto con la politica di Peròn. La passione per la meccanica, che gli aveva fatto abbandonare gli studi, e il mito della velocità non potevano che portarlo da Buenos Aires a Modena, terra di motori per eccellenza: qui sono fiorite infatti la Bugatti, la Ferrari, la Lamborghini, la Maserati e appunto la De Tomaso.


Nella città emiliana Alejandro arrivò nel ’59, quattro anni dopo il suo sbarco in Italia da ricco esule che percorreva a ritroso il percorso del nonno, un manovale napoletano. Dopo aver gareggiato come pilota per la Maserati e per la Osca, fondò a Modena la casa automobilistica che porta il suo nome: le officine, dapprima situate in località Albareto, vennero nel 1973 trasferite nell’attuale sede di viale Virgilio.


La sfortunata partecipazione al Mondiale di Formula Uno del 1970


Al grande pubblico De Tomaso si fece conoscere nel 1963 con la spider “Vallelunga” ma il successo arrivò nel ’66 con la “Mangusta” disegnata da Giorgetto Giugiaro. La macchina piacque molto agli americani per il suo design aggressivo: fu così che la Ford entrò nell’azionariato della casa di Modena rilevando l’80 per cento delle azioni. L’impresa americana voleva una nuova berlinetta: nacque la Pantera. Con questa macchina De Tomaso entrò nel mondo delle gare su pista come costruttore. Ma la morte nel ’70 sul circuito di Zanvoord del pilota della casa, l’inglese Piers Courage, gli fece abbandonare la Formula Uno. Sempre nel ’70 fece uscire dalle officine modenesi la Deauville, cui seguirà nel ’72 la Longchamp. Nello stesso anno acquisì anche le moto Benelli. Nel ’73 De Tomaso si riprese la totalità delle quote azionarie dalla Ford e nel ’76 rilevò la Maserati e la Nuova Innocenti, aziende che fuse nel 1981 quando lanciò la Maserati Biturbo, un coupé che diventò ben presto un must tra le vetture di lusso. Ereditata la famosa Mini disegnata da Bertone, si prese anche la Moto Guzzi. Nel ’79 la Benelli produsse il primo scooter integralmente in materiale sintetico e nell’84 creò un coupé convertibile, la Chrysler-Maserati TC. La parabola discendente iniziò nel ’90 quando De Tomaso cedette il 49 per cento della Maserati alla Fiat. Nel ’91 dovette vendere la Benelli. E poi anche la Guzzi, in quegli anni difficili, si staccò. Nel ’93, infine, la Maserati passò integralmente alla Fiat. Nel ’92 un collezionista tedesco si comprò la penultima Pantera: l’ultima è nel museo.


Modenese d’adozione, visse benissimo sotto la Ghirlandina, dove il legame con l’automobile è profondo, ha radici antiche. Ma l’Argentina gli rimase sempre nel sangue. Il logo della De Tomaso, per chi non lo sapesse, riproduce la forma del ferro per marchiare i cavalli della “estancia” della famiglia della madre e ha sullo sfondo la bandiera argentina. Anche l’ultima della casa, la De Tomaso Guarà, una supersportiva di razza prodotta in due versioni, coupé e barchetta, prende il nome da una razza di cani da caccia argentini. Con De Tomaso, ha detto il sindaco di Modena Giuliano Barbolini, scompare un protagonista della vita industriale della città. Ma le sue auto rimarranno per sempre.

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