Seconda generazione
La distribuzione dei gelati, nel periodo tra le due guerre, avveniva sopratutto con i tricicli poi, con il diffondersi delle automobili, i fratelli si appassionarono ad esse, e ne fecero preparare di bellissime, decorate in modo festoso e con le grandi scritte FrederickJs Ices dipinte sui fianchi da Francesco, che aveva un certo talento artistico. Papà Antonio brontolava, non convinto che l’idea delle macchine fosse buona, considerando quello che costavano.
Antonio si ritirò a 60 anni e, nel 1938, andò a vivere a Fidenza, dove aveva comprato un podere e della terra; lasciò ai figli maschi di continuare ciò che aveva fondato. Poco dopo Maria seguì i genitori per tenere loro compagnia. Solo nel 1947 avrebbe potuto rimettere piede ad Ashton in Makerfield. I tre figli rimasti in Inghilterra erano contenti e pensavano già come fare per modernizzare ulteriormente la loro fabbrica, ancora gestita con i criteri del padre, che aveva sempre proceduto con i piedi di piombo.
Fu allora che presero come esempio le grandi ditte che fornivano negozi e ristoranti; realizzarono una latteria e un nuovo frigorifero con macchine pastorizzatrici, omogenizzatrici e bollitori. Le ditte fornitrici pensavano a tutto: controlli garantiti e pagamenti rateali. Tutto bene se le cose si fossero mantenute stabili. Non sapevano, infatti, che cosa li attendeva dietro l’angolo: nel 1939, quando credevano di aver superato la china, fu dichiarata la seconda guerra mondiale.
In un primo tempo, le donne inglesi seppero rimpiazzare gli uomini che erano partiti per il fronte, per cui le attività produttive proseguirono e si guadagnava bene. Più si guadagnava, più si spendeva e questo era un bene per il commercio. Questa situazione, però, non durò a lungo; il tesseramento pose termine a questo tipo di economia di guerra; ebbe iniziò il mercato nero. Tanti ci guadagnarono e qualcuno passò qualche mese in prigione.
Poi, si visse un periodo drammatico.
Mattia, mio padre, e Francesco, furono prelevati alle 4 di mattina come criminali e condotti in caserma, dove passarono la notte; poi furono internati nell’Isola di Man. Agostino, restò, ma dovette lavorare nella fabbrica di munizioni, munizioni che sarebbero state usate contro i suoi stessi connazionali. La fabbrica di gelati fu chiusa: dopo cinque o sei anni di interruzione, ci sarebbe stato tutto da rifare.
Tuttavia, si doveva ringraziare Dio che tutti, in famiglia, si erano salvati, anche se Mattia, aveva corso un grande pericolo. Quando fu trasferito in Canada dall’Isola di Man, era destinato a partire con l’Arandora Star, la nave che fu silurata e affondata, trascinando con sé ottocento vittime: gli italiani che perirono furono
Finita la guerra, tutti i prigionieri furono rilasciati; Mattia e Agostino ripresero l’attività di famiglia, mentre Francesco, deluso, ritornò in Italia, anche per aiutare i genitori anziani nella gestione del podere. Mattia lavorò per rimettere in funzione tutto come prima e la vita riprese, anche se si dovette ripartire quasi da capo, affrontando anche le difficoltà che derivavano dal fatto che tutto era razionato, e continuò ad esserlo a lungo, perché il gelato non era considerato un alimento di prima necessità.
Era, però, a nostro favore, il razionamento del cioccolato, di cui gli inglesi, come di sa, sono molto golosi; questa limitazione favorì, infatti, i gelatai, che non faticarono a smerciare la quota loro assegnata. Tolto il razionamento, cominciò il vero lavoro di competizione, che Mattia affrontò puntando sulla qualità del prodotto, che diede buoni risultati, come sempre.
Mattia si sposò nell’inverno del 1950 con Rita Rossi di Fidenza: ebbero tre figli, Frank, Irene e Philip.
Terza generazione
Nella dairy [latteria] di Edward Drive, Mattia (mio padre) lavorava giorno dopo giorno, e la domenica di più. I gelati vendevano bene perché Frederick’s ice-cream venne conosciuto come gelato di qualità e mio padre come un vero «galantuomo». I gelatai venditori (the «men») erano in parte inglesi in parte italo-inglesi che prima lavoravano come dipendenti, poi come lavoratori autonomi. La distribuzione del gelato avveniva dagli «ice cream vans», nei contenitori tenuti freddi prima con il «dry ice», il ghiaccio secco, poi da contenitori refrigerati elettricamente. Si vendeva soprattutto «loose», ice-cream nei coni, ovvero gelato fresco. li gelato era sempre e solo al gusto di vaniglia, ma a richiesta lo si decorava con lo sciroppo di lamponi, il «cadbury’s /lake», la stecca di cioccolata, o le noccioline.
C’era una concorrenza spietata. Ogni gelataio aveva il suo «round», cioè l’itinerario che aveva coltivato; qualcuno, per anni e anni. Ma arrivava sempre nuova gente, e alcuni non rispettavano i confini e si finiva per scendere dai furgoncini e litigare, qualche volta, perfino a picchiarsi; bisogna dire che i latini erano un po’ più litigiosi degli inglesi.
Si producevano anche molti ghiaccioli di diversi gusti; molte erano le sere d’estate o i fine settimana che mia madre e io passammo nella fabbrica a inserire con cura le stecchine di legno dentro i ghiaccioli in fase di congelamento nelle vasche di brina, e poi a confezionarli. Era un lavoro molto noioso e c’era da stare in piedi delle ore, ma era pagato! I miei coetanei erano invidiosi. Di fatti, erano in molti a richiedere di poter lavorare nella fabbrica dei gelati! Altre volte mio padre ci faceva vendere i gelati al mercato, oppure alle fetes locali, o nei «beauty spots», i luoghi panoramici dove la gente andava per passare una piacevole domenica all’ aperto.
È ovvio che eravamo tutti un po’ golosi di gelati, e la golosità, qualche volta, ci procurava dei guai. Mio cugino Carl, da piccolo, era andato a curiosare nei luoghi ove si tenevano i contenitori di gelati, non aveva resistito alla tentazione di leccarne il bordo: la lingua non gli si staccava più dal metallo gelato; figurarsi che spavento!
«Frederick’s Dairies» è oggi un grande produttore di gelati. Frank e Philp hanno fatto passi da gigante. Dalla distribuzione al dettaglio per le strade al suono di «The Happy Wanderer» (Il vagabondo felice), alla vendita all’ingrosso. TIR refrigerati portano migliaia di pacchi di gelati confezionati ai centri di distribuzione per le grandi catene di supermercati.
L’intraprendenza, la determinazione e la perseveranza di tre generazioni hanno portato a rovesciare completamente le fortune della famiglia di Antonio Federici di Setterone; come è successo per numerose altre famiglie di emigrati. Ma non solo questo. La nostra famiglia ha avuto nel corso di tre generazioni una completa metamorfosi culturale.
Noi figli, non abbiamo conosciuto nostro padre altro che con il nome di Matthew Frederick. Gli zii erano gli uncles Austin, Frank e Tony, e le zie auntie Cissie e auntie Mary. La lingua italiana per noi era una lingua quasi straniera e la terra dei nonni un luogo strano e quasi sconosciuto.
La mamma ha vissuto con disagio il trapianto; il suo cuore era a Fidenza; ha faticato ad adattarsi e ha sofferto nel vedere i figli poco inclini ad accettare la sua terra e a parlare la sua lingua. Mio padre, invece, ci teneva che diventassimo inglesi; molto direi. Era come se, così facendo, potesse allontanarsi e allontanarci dallo stigma della povertà. E fu così.