Non sono stato un emigrante vero, nel senso che la gente dice “emigrante.” Sì, sono andato per bisogno, e anche per mandare i soldi a casa. Ma, più forte, è stato il bisogno di andare, di partire.
Ero un ”vincente”, da ragazzo, da giovane.
Ho portato i pantaloni corti fino a 15 anni. Ho venduto le bibite nel cinema, per andare al cinema, e guardare tutti i film. C’erano dei film vietati, che dopo, ho avuto dei mezzi incubi, perché così, da ragazzino, i film di Hitchcock, così. .. erano dei film agghiaccianti, dove tu vedevi la lama del coltello che si infilava. Per questo, davo fuoco alla notte. A casa, dormivamo in tre in una camera, e prima me ne andavo, meglio era. Poi, ho imparato a ballare. Bastava poco per divertirsi. lo, fin da ragazzino, giravo con gente più grande di me. Quindi, quando andavo al bar, non vedevo l’ora di scappare e … via! Mangiavo come un cavallo, anche a quelle cene, quei banchetti, quelle feste in piazza, dove mi invitavano, perché io mangiavo di gusto. Ero sempre in baracca.
Verso i 15 anni, avevo vinto un almanacco Mondadori, con la “Settimana Enigmistica» e c’erano 20 mila barzellette. Le imparai tutte. Quindi, sapevo intrattenere. Poi, io sono stato un tipo, non bello, però, diciamo, coinvolgente. Negli anni d’oro della riviera, la percorrevamo tutta, fino a Misano. I nostri locali erano il Florida, a ponente, a Cesenatico, Bagno Bianchi, a Pinarella. Di qua, c’era il Paradiso, il Caravelle, il Kamikaze, l’Energy e
Poi, sempre in giacca e cravatta, abiti alla moda. Pensavano a me come a uno sciupafemmine, ma io mi divertivo e basta. Ero il figlio prediletto di mio padre, solo per. ché mio padre vedeva in me quello che non aveva fatto lui, da giovane, e quindi, sotto sotto, mi dava una mano. Quello che poteva. Mi sono dato alla pazza gioia. Nel senso che, io e due o tre amici miei eravamo sempre gli ultimi a lasciare i locali. Chiudevano il bar, e andavamo nel notturno, e il sabato e la domenica, eravamo sempre in giro. In settimana, meno, perché andavamo a lavorare. Alla fine della stagione, si facevano le statistiche. Quante donne, quante ne hai conosciute … così! Siccome macchine non c’erano, ci facevamo venire a prendere al bar dal taxi, per andare giù al mare. E la gente vedeva … Poi, alla fine, facevamo i conti di quante ragazze avevamo avuto durante l’estate. lo ero di quelli sempre più quotati, no? lo, devo dire la verità, siccome il periodo è stato corto, è stato breve, dai 17 anni ai 20 anni, 21 anni, no? … avrò avuto 17-1824 donne, per dire. A volte durava lO giorni, a volte una settimana. Quanto durava il soggiorno di queste straniere.
Ricordo una svedese, bella, alta, un’altra di Salerno, una bella mora. Ci siamo scritti. Una volta ci si scriveva. Soprattutto durante il militare. Mi ricordo che c’era il bustone bianco, per i parenti, poi le buste colorate per le ragazzine. Le più corteggiate erano le tedesche, perché più disinibite. Ma anche le italiane, Rovigo, Mantova. Ma dopo, d’inverno, non le riconoscevi più … perché, impiegate comunali, in uffici: “Siamo al lavoro … ” Quindi, dopo l’estate, si chiude. L’unica con cui c’è stata una continuazione, è stata una svizzera, perché l’ho voluto io. Mi serviva un riferimento, lì. Solo che il discorso era che, finita la stagione, “arrivederci e grazie”, e tante volte, la passavo ad un amico. Non c’era sto grande amore … era per finire la serata. Si andava in spiaggia, magari in qualche cabina aperta. La macchina”.’ non c’era, allora si andava dove si poteva, in un fosso, su uno scoglio. Poi, alla fine, avevo appuntamento sul ponte di Cesenatico con un amico che passava alle 4.30, per andare al mercato della frutta. E mi prendeva su per tornare a Cesena. Invece, per andare, andavo in autostop. Poi, magari, incontravi un omosessuale! La macchina non c’era. Che facevi? Sotto il profilo del comportamento, perciò, eravamo come dei. .. Andavamo nelle discoteche, poi si andava a fare mattino da un’altra parte, Bologna, Milano, anche Milano. Era un ambiente a rischio. C’erano prostitute, c’erano magnaccia, e bisognava essere forti e, nello stesso tempo …
Finché, nel 1965, era il 15 di luglio, successe il macello.
Eravamo in sei, in una macchina. Ci furono tre morti, e uno rimase invalido. lo e un altro fummo quelli che ebbero meno danni, per modo di dire: mi spaccai i polsi. E poi, dovetti subire per tutti. Ero seduto davanti e parlavo con quello di dietro. Quando ho visto che la macchina sbandava, ho cercato di proteggermi il viso con le braccia, ma fortunatamente, sono stato sbattuto fuori dalla macchina, in mezzo ai fili della luce. Infatti, ho preso la scossa che mi ha svegliato un po.’ Poi, è successo di tutto. Ha cominciato a piovere, siamo finiti nel fosso, e incominciavano ad arrivare i soccorsi, perché la zona era rimasta al buio. Avevamo tranciato un palo della luce, quindi era rimasta al buio tutta la zona. Appena ho messo i piedi per terra, comincia il temporale e vado a raggiungere la strada, verso il gruppetto di quelli che erano venuti a vedere. Avevo tutte le mani nere, e mi portano all’ospedale. lo, all’ospedale, dico: “Guardate che siamo in sei nella macchina.”
Così, è iniziato il via vai, perché sei giovane, e quindi, gli amici, i parenti. Quello che guidava aveva 24 anni. Stava dormendo quando siamo andati a svegliarlo, per portarlo con noi. Era il capofamiglia, unico figlio maschio. Faceva il muratore, ed è stato un dramma … un dramma per sei famiglie. Tutte storie che hanno fatto del male. Anche perché, dopo, cosa succede? Che la macchina non è assicurata. E non era nemmeno la nostra. Era una Fiat 1200. Era del proprietario del bar, un camionista, anzi, lui non c’era. Ce l’aveva data la moglie di questo qui. Poi dopo, siccome io conoscevo la sorella di questo
che poi è morto, di quello che dormiva, allora mi dicevo: “Questa qui viene per me”. Avevo un braccio ingessato. E invece, era morto il fratello. Quando sono stato un po’ meglio, ho visto che la situazione diventava pesante per me. Subii molti interrogatori: cos’era successo, chi guidava. Allora decisi. A quel punto, dovevo andarmene. L’estate prima, avevo conosciuto una ragazza svizzera con cui ero rimasto in contatto, ho fatto il militare, e ho fatto i documenti per partire. In senso economico, non stavo male. I miei avevano una falegnameria, mio zio, il fratello di mio padre, aveva un’officina meccanica. Se avessi voluto, il lavoro non mi sarebbe mancato. Aggiungo, che la stessa notte in cui ho avuto l’incidente, mio zio aveva un’officina meccanica con un socio, in quella notte è morto il papà del socio, e avevano messo il cartello con la scritta: “Uofficina è chiusa per lutto”. E siccome io rimasi chiuso dentro casa per molti giorni, la gente pensava che fossi morto io, in quell’incidente, e quando mi incontravano per strada, mi guardavano come se avessero visto un fantasma. E poi, dentro la macchina c’era un bottiglione di aceto. Avevamo fatto benzina, giù per andare verso Ronta, e siamo andati a prendere il ragazzo che dormiva, poi siamo partiti. Nell’incidente, il bottiglione s’è rotto. Dopo, la macchina era piena di sto vino. Che non era vino, era aceto, ma la gente: “Erano ubriachi! Hanno avuto l’incidente perché erano ubriachi.”
Poi, c’erano due ragazzi che avevano le morose incinta.
Quello davanti a me è morto dopo una settimana d’ospedale, e uno è rimasto invalido. Rimase sette o otto mesi, in coma, a Bologna, e poi, è stato veramente molto, molto, male. Abitava qui di dietro. La suocera, la madre della ragazza, non volle che si sposassero neanche dopo. Poi un altro. La ragazza era rimasta incinta: anche lei, ragazza madre. Tutti venivano da me, carabinieri, giornalisti. ” Fu una situazione pesantissima. Ne sono venuto fuori, ma poi ho detto, non vigliaccamente:
“Voglio provare”. Non è che andavo nella bambagia, andavo verso i sacrifici. Mia madre, credo che piangesse ancora. È morta un paio di anni fa. Mio padre le diceva: “Lascia che vada! Poi se non va, tornerà a casa!”