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28 Maggio 2007 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

N°62-LO SGUARDO ALTROVE, STORIE D’EMIGRAZIONE

Matrimonio australiano.

Avevo 20 anni, e lavoravo in un bar, a Cesena. Ci siamo conosciuti in quel bar, io e Roberto, il bar del Ponte Vecchio. Ci innamorammo subito. Lui era bello, timido e riservato. C’e­ra un amico con lui, e, all’improvviso, disse: “Guarda, quella è la ragazza per te!”
lo mi girai, e risposi che non cercavo nessuno.

Poi, ci rivedemmo e quando partì, stavo male. Ci siamo ritrovati in Australia, l’anno dopo, nel ’61. Era il mese di luglio, ma laggiù era molto freddo. Ci sposammo il 13 luglio del ’61. Andai in Australia da sola, cioè con un suo amico che era venuto qui, in ferie. Ci sposammo di sera, e c’era suo fratello e la moglie. Lei, poverina, era a letto con la febbre, ma venne ugualmente. In che condizione ci sposammo! Non c’era nessuno al mio matri­monio. Solo io, lui e i testimoni. Mia cognata aveva appena fat­to le vaccinazioni per venire in Italia, per questo aveva la feb­bre. Poi, il giorno dopo, se ne andò. Non indossai neppure l’a­bito bianco che avevo preparato. Era rimasto nel baule che arrivò molto dopo. È capitato così! Mi sono sposata con un tail­leur pesante, marrone, con una maglietta chiara. Mi ricordo che è stato un po'”. Non era come l’avevo sempre sognato.” Non c’era nessuno.

Anche appena arrivata, non c’era nessuno. Ero con quel suo amico. E, dall’aeroporto, mi portò in Ufficio. Poi, col treno, andammo a casa. C’era mia cognata. La casa non era di matto­ni, ma di legno dipinto. Erano tante case bianche, ma c’era un bel terrazzo. Mi figuravo una cosa un po’ più accogliente! E poi, tutta quella gente che non conoscevo. Avrei preferito vedere lui, Roberto! Ma non fu così.

Dopo, io, l’ho sempre seguito, anche in mezzo al bosco, nel­la savana, in Mrica. Ero sempre l’unica donna in mezzo a tanti uomini. Erano quasi sempre baracche, e ho imparato quasi subito a far da mangiare, da mangiare per tutti. Sono stata male per mio padre e mia sorella. È morto che ero in Austra­lia. Ma lui, dopo la morte di mia madre, si era risposato e io mi ero fatta la mia famiglia, laggiù. Eravamo come una grande famiglia e quando non c’era il campo, andavamo in albergo.

Quando tornammo in ferie, furono i parenti da parte sua a consigliare i di non tornare più in Australia. “Ma va!” dicevano, “è troppo lontano”. Laggiù, avevo una vita molto, molto bella.

In Mrica era diverso. Abitavamo a Lagos. Frequentavamo circoli molto eleganti, grandi alberghi, ma l’ambiente attorno, era impressionante. Bello, quanto a natura, clima, ma ho fatto anche delle esperienze traumatiche. Ricordo una volta. Stava­mo andando ad un ospedale, perché avevo bisogno di cure. Andavamo con la macchina, io e la guida. Per strada, vidi che c’era un corpo. Ci passammo sopra con la macchina. Era un corpo umano! Come fosse stato un animale! Era ormai mar­mellata e c’erano solo i segni delle ruote. E un’altra volta, che, sempre in macchina, eravamo andati a fare la spesa. Sotto un bus-stop, lì di fianco, sotto le tettoie, notai un cartone, e delle galline che beccavano. Al ritorno, entrando nel residence, il cartone non c’era più. C’era un bambino morto, e le galline continuavano a beccarlo.

Anche ad avvertire le autorità, non serviva a niente.

Rispondevano che avevano gli automezzi rotti.

Che vergogna! Il corpo umano lì, non vale niente. Come le bestie! E poi, mosche … Ricordo tante mosche. Ricordo che mangiavano i topi, andavano a caccia di topi. Eppure l’Mrica è tanto bella …

Brano corrente

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