Ci si è burlati troppo spesso e troppo facilmente del nome di modello, il quale assomiglierebbe ad un’antifrase pura e semplice. Si è detto che al di fuori della cerchia specialissima e ristrettissima della loro attività, i modelli di testa e di torace, nonché quelli di figura, non sono generalmente modelli di ogni virtù. Le belle ragazze che posano l’intero si fermano raramente al particolare.
Se è raro il tipo della Lucrezia, occorre pur concedere circostanze attenuanti a queste ragazze, destinate in genere dai genitori a questo mestiere e abbandonate a se stesse e ad ogni genere di tentazioni.
Se quella debole creatura non cede, troppo spesso rimane per lei chiusa la porta dello studio! Agli inizi, come il Bonino ha così bene evidenziato nel marmo recentemente esposto a Torino, la modella mostra velleità di resistenza, seguite presto dalla rassegnazione, perché per amore o per forza è costretta ad adottare il cinico motto della donna: “il cielo ci creò per acconsentire a tutto”. È anche vero che i poveri artisti, come osservava un tempo R. de Piles nelle sue note sul poema di C. S. de Fresnoy (De arte graphica), hanno troppo facilmente occasione pure loro di arrendersi alle loro debolezze!
Ma non si deve credere che la corruzione sia generalizzata, essendo le ragazze severamente sorvegliate dai genitori, proprio come le figlie degli acrobati. Regna per forza la castità, per paura del parto, giacché, se il corpo si deforma, è annullato il guadagno, ma se la nuova Vestale mantiene fisicamente il proprio voto, come potremmo pretendere la verginità dell’anima da una ragazza che abbandona ogni giorno davanti all’artista l’elegante e pudica menzogna del vestito? Tuttavia le giovani Italiane mantengono in questi mestieri riserve e pudori strani, esercitando la professione sempre di nascosto. Hugues Le Roux ci ha raccontato l’episodio di quella giovane Italiana che, posando per la figura nello studio di Ingres davanti agli alunni del maestro, manda ad un tratto un grido e corre a rifugiarsi dietro un paravento. Alla richiesta di spiegarsi, risponde: « E un conciatetto che, attraverso la finestra, mi guarda dal tetto». Non avviene mai che le modelle si vestino o si svestino davanti all’artista, essendo esse tutte convinte dell’assioma di Diderot che non è il nudo ad essere indecente, bensì il tirar su la veste. Jules Janin ha poeticamente descritto la storia autentica di una modella casta e pura, diventata poi grande dama. Sono del resto rari i casi di concubinaggio: tuttavia alcune ragazze, che posano per la figura, coabitano con compagni francesi diventando esse pure francesi. La giovane Italiana, che posa in tal modo, non ignora che deve dire addio per sempre al paese natio dove non potrebbe più sposarsi.
Ora qual è il prospetto delle spese dei modelli italiani? Come ogni emigrante italiano, i modelli sono abbastanza economi, ma più gli uomini delle donne e questa virtù di parsimonia li distingue dai modelli francesi in genere molto spendaccioni. La differenza fra le due categorie è stata spiritualmente definita dalla celebre modella della Parisienne della Porta Monumentale, la quale ci diceva un giorno che gli Italiani posano per risparmiare, i Francesi per spendere! Ma la sobrietà, quest’altra qualità così specificatamente italiana, non s’incontra forse così radicata nei modelli come negli altri lavoratori italiani, a causa del fatale «bicchierino» che comincia a tentare lo stomaco vuoto del povero modello italiano.
Quello stomaco conosce pochissimo la carne e i modelli, quando mangiano a casa, si nutrono solo un po’ meglio che quando pranzano fuori perché maccheroni, zuppa di cipolle, peperoncini e pomodori crudi costituiscono il loro pranzo quotidiano. Si. cibano spesso anche di fritti, verdure, pesce marinato e formaggio e, la domenica, se il lavoro è stato abbondante, si deliziano con il classico piatto a base di testina d’agnello. Gli uomini si alimentano ancora peggio delle donne. Se non rosicchiano qualche frutto con un po’ di pane nel recarsi al lavoro sull’imperiale dell’omnibus, bevendo qua e là alla Wallace, vanno alla bettola dove pagano dai 7 agli 8 soldi (un tempo 5) un comune, cioè brodo, manzo e verdure. Ve ne sono di così poveri da recarsi la mattina alle Halles 18 per cercare cibo fra gli avanzi gettati a terra. Molto spesso un’intera famiglia, composta dalle cinque alle sette persone, deve vivere sul guadagno di un solo individuo, il quale non ha forse potuto trovare lavoro se non per due o tre giorni alla settimana.
Se il bilancio per il vitto risulta assai modesto, quello per l’alloggio è, anch’esso, limitatissimo.
In genere abitano in spaventosi ambienti ammobiliati, composti di un’unica stanza, camera da letto per tutti, e di una cucina che serve di succursale all’altra, pagando per queste piccole abitazioni un affitto che varia dai 150 ai 300 franchi: è sempre vero che sono i poveri a pagare di più per le loro dimore. In una stanzetta di una vecchia casa dell’ Avenue du Maine, abbiamo trovato sette letti di persone di sesso diverso, Per guadagnare posto, si ricorre talvolta ad un’invenzione non priva d’ingegnosità: , i letti risultano a due piani, giacché venendo capovolti si sistema, mediante assi chiuse sui loro piedi, un materasso per una seconda persona.
Le stanze hanno un’impronta particolare, data loro dall’esposizione di numerosi costumi che, per mancanza di mobilia, sono sospesi tutt’intorno, giacché tutti i modelli hanno i propri costumi, tranne – è ovvio – coloro che posano per la figura, per cui vi si trovano talvolta vere e proprie collezioni. Citeremo, in particolare, una famiglia di antichi modelli della Rue du Chàteau, proprietaria di un guardaroba ecclesiastico ben fornito, che comprende abiti da sacerdote, da monaco, da vescovo, da cardinale e…da San Domenico. Molte donne posseggono costumi da religiosa, da regina e da contadina romana, ma in genere si tiene solo quello che serve per la posa consueta; com’è il caso del bel modello della Rue Poinsot, noto per la testa maestosa dallo sguardo sovrumano, che non ha altro che il costume di Nostro Signore.
Purtroppo il lato pittoresco dell’alloggio è rovinato dal sudiciume più disgustoso che si possa immaginare e se gli inquilini e i portinai concordano tutti nel proclamare l’onestà dei modelli, sono anche unanimi nel riprovare la loro totale mancanza di pulizia. La tradizione, mai smentita presso i modelli, vuole che la loro prima tappa a Parigi sia stata quella celebre Rue Mouffetard, in cui essi imperano oggi ancora e la cui etimologia pare sia Mons foetidus
Quando si vuol esser modella
dagli imbrattatele,
Non basta essere bella,
Bisogna fare il bagno.
D’altra parte è vero che i nostri modelli appartengono tutti a famiglie di contadini e che provengono dalle classi più povere e meno istruite delle nostre popolazioni, in cui la grande maggioranza delle persone anziane non sa né leggere né scrivere. È bene anche aggiungere che troppo spesso la sporcizia è figlia della miseria che effettivamente declassa la sporcizia. Molto numerose sono le famiglie di modelli (l’abbiamo constatato de visu) che, in mancanza di letti, dormono sulla tavola o per terra. Parecchi di loro sono giunti a piedi fino a Parigi. L’inchiesta che abbiamo svolta personalmente in 29 case e quartieri abitati dai modelli italiani a Parigi, ci mostra che i nove decimi di loro vivono nella miseria più nera.
Del resto è il V circondario ad accogliere il più gran numero di poveri a Parigi e a dar asilo alla parte più numerosa dell’esercito dei modelli italiani.
Oltre i quartieri Saint-Victor e del Jardin-des-Plantes, che da soli contengono quasi la metà di tutta questa emigrazione, ne ritroviamo gruppi importanti nelle zone di Montparnasse, di Vaugirard, del Luxembourg, dell’Observatoire, della Villette e alcune unità sparse ai Gobelins e nel quartiere Europe.
A quanto ammonta questa popolazione?
Hugues le Roux, nel suo interessante Enfer de Paris, fissava, nel
È interessante notare che sia a Marsiglia, sia a Tolone, sia nelle numerose colonie di queste due città non vi è nessun modello e che a Nizza e a Lione, altri grandi centri della nostra emigrazione, se ne trovano appena una ventina nel capoluogo delle Alpes-Maritimes, e sette soltanto in quello del Rhóne. L’intera nostra emigrazione di modelli è diretta su Parigi.
Se accettassimo i calcoli dei modelli italiani da noi interrogati, avremmo ora soltanto per Parigi dai 1000 ai 1.200 modelli italiani, ma questa statistica subisce ovviamente l’effetto di quello spirito di esagerazione, così caratteristico delle classi inferiori, poiché i loro colleghi francesi diminuiscono questa cifra e la riportano a 900 e la nostra inchiesta si avvicina abbastanza a quest’ultima valutazione. Si è nel vero, fissando a 800 o 850 il numero dei modelli italiani: l’intero quartiere del Boulevard Montparnasse è esclusivamente abitato da loro, mentre ve ne sono una sessantina in Rue Saint-Médard, altrettanto in Rue Saint-Victor; almeno una cinquantina in Rue Ducange e in Rue Linné, una quarantina in Rue Mouffetard e nell’Avenue du Maine, una trentina in Rue des Fourneaux e in Rue Poinsot.
Quasi i sette ottavi dei modelli vengono dalla regione, che, una volta, era
Il nostro quadro, dalle tinte così fosche e sinistre, diventa ancora più cupo se si pensa alla fine riservata al modello dopo la dura carriera che ci siamo sforzati di delineare in queste pagine. Per la grande maggioranza di loro, economizzare è, lo abbiamo visto, impossibile o quasi; non esistono società di mutuo soccorso o casse di pensionamenti e la corrente della miseria trasporta quegli infelici che, per lo più, finiscono in un letto numerato. Forse le donne, se la loro linea non si è deformata troppo presto, possono risalire la corrente più facilmente degli uomini. Talvolta capita perfino che il pittore, sia per ragionamento, sia per passione, per risparmiare le spese di un modello, prenda per moglie una modella, come ha detto con tanto spirito in uno dei suoi monologhi Camille Antona Traversi. Ma è l’eccezione.
Quando vediamo quelle povere creature scendere a poco a poco tutti i gradini dell’abiezione e della prostituzione, non possiamo sottrarci ad un profondo sentimento di commiserazione e di tristezza e ci ritorna in mente la strofa disperata della canzone di Montoya su le Vieux modèle:
Da allora batto il marciapiede
e, quando giunge la sera, chiamo
i signori con gli occhi pieni di boria…
Oh! Chi mi verrà a proporre
nella mia noia di posare
un ultimo quadro per l’Obitorio?