Palazzo Bocchi, in via Goito al n. 16, può essere l’inizio di un giro un po’ particolare nella Bologna ebraica, prima di raggiungere l’area del ghetto e del Museo ebraico. Il palazzo, tipico esempio di architettura rinascimentale, opera di Jacopo Barozzi detto il Vignola, e di Sebastiano Serlio, fu costruito tra il 1545 e il 1565. Apparteneva ad Achille Bocchi, illustre letterato dello Studio bolognese e grande mecenate della cultura del tempo. Fondatore di un’accademia letteraria chiamata Ermatena (Ermete e Atena, diplomazia e sapienza), di cui il palazzo era la sede, Achille Bocchi fece apporre sullo zoccolo esterno due iscrizioni, una in ebraico e l’altra in latino. L’iscrizione ebraica riporta il Salmo 119: «0 Signore preservami dalle labbra menzognere e dal linguaggio ingannatore». Quella latina è tratta da un’epistola di Orazio: «Sarai re, dicono, se agirai rettamente».
Le due frasi intendevano illustrare i fondamenti filosofici dell’accademia. Qualcuno intervenne poi sulle epigrafi scolpendo una croce greca (e, curiosamente, non latina come avrebbe dovuto essere in un Paese cattolico) sul nome di Dio nella scritta ebraica, e sulla parola re in quella latina. La presenza di queste due croci ha fatto molto discutere anche incollegamento alle vicende della cattedra di ebraico dell’accademia che in quegli anni, dal 1532, era rimasta scoperta.
Le due croci non sono infatti riportate nel progetto originario, secondo alcuni solo per motivi di scala del disegno, non sufficientemente particolareggiato. Secondo altri, le due croci non erano invece previste ma furono imposte dall’Inquisizione come monito al cattedratico per il suo interesse verso l’ebraismo. In quegli anni l’Inquisizione mandava al rogo migliaia di libri ebraici e il papa emetteva la bolla Cum nimis absurdum. Un’ultima, assai diversa spiegazione vede nelle due scritte una specie di manifesto della libertà di coscienza e una presa di posizione contro le calunnie antiebraiche da parte dei frequentatori del palazzo e dell’accademia nel momento della Controriforma: la presenza delle due piccole croci perderebbe quindi importanza rispetto alle grandi lettere scolpite in ebraico e latino. Pochi passi e siamo al Museo civico medievale.
Museo civico medievale.
Al Museo civico medievale, in palazzo Ghisilardi Fava (via Manzoni 4), sono conservate quattro lapidi sepolcrali che testimoniano l’esistenza dell’antico cimitero di via Orfeo, assegnato nel 1569, tramite un Breve di Pio V, al convento di San Pietro Martire. Si tratta di stele di grandi dimensioni di stile rinascimentale, finemente scolpite e decorate. La più antica è datata 1508 e reca il nome di Avraham Yaghel Da Fano. Quella di Shabbatai Elkanan da Rieti, del 1546, è interessante dal punto di vista artistico. Posta su base bugnata, la lapide presenta una sorta di mascherone alato e una ricca cimasa racchiudente al centro lo stemma di famiglia. Lo spazio recante l’iscrizione funebre è retto da una figura di giovane a mezzobusto; due putti alati fanno da cornice appoggiati ai lati.
La terza lapide è del 1555 (luglio) ed è intitolata a Menachem Ventura, morto in giovane età; lo stemma di famiglia è costituito da un cervo.
Nell’iscrizione si legge: «Sopra un corpo innocente fu scolpita la mia epigrafe / Mi è toccato in sorte essergli di sepoltura / Ha terminato il suo passaggio terreno quand’era ancora studente / Il suo desiderio era studiare
L’ultima stele reca, nella parte posteriore, l’iscrizione funebre in memoria di Joav da Rieti, ma fu riutilizzata per Rinaldo dei Duglioli morto nel 1571.
Dalla piazza della Mercanzia alla Biblioteca. Si percorre via Rizzoli (già Mercato di Mezzo) e all’angolo tra questa strada e piazza Ravegnana si trova il palazzo dei Drappieri, l’antica sede della Corporazione dei Drappieri Strazaroli. Qui il primo ebreo documentato a Bologna, Gaio Finzi, intorno alla metà del Trecento praticava la sua attività.
Si arriva ai piedi delle Due Torri, Asinelli e Garisenda, da sempre simbolo della città e ingresso del ghetto.
Dalle due Torri iniziano via Zamboni, via San Vitale, Strada Maggiore, via Santo Stefano e via Castiglione. Via Santo Stefano e via Castiglione arrivano sulla piazza della Mercanzia, antico carrobbio, considerato il “salotto” di Bologna, con il palazzo oggi Camera di Commercio un tempo Foro dei Mercanti. Il palazzo, caratteristico per la facciata tardogotica, è opera di Antonio di Vincenzo e di Lorenzo da Bagnomarino. Un tempo era chiamato il Trebbo dei Banchi ed era luogo d’incontro e di contrattazione dei cambiavalute. In questo contesto operavano anche gli ebrei, che avevano anche casa all’intorno.
Ogni anno, tra novembre e dicembre, piazza della Mercanzia diviene teatro della celebrazione della festa ebraica di Channukkà che ricorda la vittoria dei Maccabei sui greci persiani e la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme (
Per i cultori di manoscritti ebraici si consiglia una visita alla Biblioteca Universitaria (via Zamboni al n. 35). Vi sono conservati 28 preziosi esemplari tra cui un machazor contenente pagine dell’Haggadà di Pasqua, probabilmente del XIV secolo, di provenienza catalana, e il Canone di Avicenna le cui preziose miniature di soggetto medico risalirebbero al Quattrocento. Questo manoscritto appartenne, tra il XVI e il XVIII secolo, al convento di San Domenico di Bologna; nel 1796 passò a Parigi dove rimase fino al 1815, anno in cui fu donato alla Regia Biblioteca Universitaria di Bologna.
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