Il ghetto
La storia. Dopo l’emanazione della bolla Cum nimis absurdum passarono circa 11 anni prima che tutti gli ebrei bolognesi entrassero nel “serraglio degli ebrei”.
L’istituzione fu accompagnata dalle usuali polemiche e resistenze, soprattutto da parte ebraica. Infine si ottenne di mantenere la stessa zona in cui vivevano la maggior parte delle famiglie. Molte comunque dovettero spostarsi. I documenti riportano che i fratelli Da Rieti furono
costretti a vendere lo stabile in cui vivevano, situato all’angolo tra piazza San Simone e via Oberdan, mentre fu imposto a molti cristiani, riluttanti ad abbandonare quello che era «l’ombelicio più precioso della città», di cedere in affitto agli ebrei (che non potevano più possedere immobili) le loro case e «le loro stalle». Un documento conservato all’Archivio di Stato di Bologna comprova molti di questi passaggi. Il ghetto era compreso tra due grandi arterie: strada San Donato (oggi Zamboni) e via Cavaliera (oggi Oberdan) e prevedeva quattro portoni d’accesso (probabilmente ne furono posti però soltanto tre).
Un primo si trovava all’inizio di via dei Giudei (“da San Marco in Porta Ravegnana”); un secondo, nel punto in cui via del Carro sbocca su strada San Donato (via Zamboni), “dai Manzoli”, e un terzo, nell’attuale piazzetta San Simone che si apre su via Cavaliera (via Oberdan), “dai Bevilacqua”. Oggi è possibile ripercorrere queste strade e ricostruire l’area del ghetto ma l’unico accesso ancora chiaro e leggibile è il secondo: il portone si trovava infatti sotto il voltone che collega palazzo Manzoli-Malvasia con la chiesetta di San Donato, costruito all’inizio del Settecento.
L’aspetto attuale del quartiere. Tutto il perimetro del ghetto, cuore medievale della città, conserva intatta la sua struttura originaria ed è stato oggetto negli ultimi tempi di un Piano di restauro conservativo e di valorizzazione. Per la visita si prende via dei Giudei, il cui toponimo deriva dall’antica presenza di nuclei ebraici ancora prima del ghetto. In epoca fascista cambiò nome e diventò via delle due Torri. All’imbocco di questa strada vi era un primo portone di chiusura. Percorrendo via dei Giudei verso via Canonica, sulla destra si trova un piccolo negozio di stampe e disegni, specializzato in iconografia ebraica.
Da via Canonica, girando a destra si arriva in via dell’Inferno, forse l’arteria pulsante del ghetto. Al n. 16 (antico 2638) c’era probabilmente l’edificio dove si trovava la sinagoga, l’unica permessa dalle disposizioni papali, in “Casa Buratti”, come riferiscono cronache locali, non ancora dimostrata però da documenti.
La sinagoga era all’ultimo piano dello stabile, la cui facciata esterna era (ed è ancora) completamente anonima. L’edificio si presenta in un solo corpo che comprende via dell’Inferno n. 16 e vicolo Mandria n. 5. All’interno si apre una serie di cortili che vanno dal n. 2 al n. 16 e corrispondono, come ipotizza anche Lucio Pardo nella sua ricerca sul ghetto bolognese, alle caratteristiche del chatzer della sinagoga, cioè un luogo interno per riunioni, comune alle diverse abitazioni, che si poteva raggiungere da una casa all’altra senza uscire per strada. La creazione di passaggi interni da una casa all’altra era comune in tutti i ghetti della penisola ed era dettata dalla necessità di sicurezza per gli abitanti. Nello stabile successivo, in direzione di via Valdonica, è stata posta una lapide-ricordo dell’istituzione del ghetto e di tutte le persecuzioni che hanno colpito e “isolato nel ghetto” gli ebrei bolognesi. Di fronte, sotto il portico, è ancora possibile notare un piccolo spioncino collegato con l’interno dell’edificio che serviva a controllare la strada durante l’epoca del ghetto.
Da via Valdonica, attraverso un arco, s’arriva in via del Carro, al cui incrocio con via Zamboni si trovava un terzo portone. Proseguendo per via del Carro si ritorna in via dell’Inferno. Arrivati al n. 16, si gira a sinistra percorrendo la strada fino in fondo. S’incontrano molte piccole botteghe; al n. 6/1 nel piccolo negozio La chiocciola si può acquistare oggettistica ebraica, così pure nel negozio di antichità che si trova poco più avanti. Andando a destra e passando vicolo Tubertini, si arriva in vicolo del Mandria (già via del Ghetto): su piazzetta San Si
mone c’era un altro portone di chiusura del ghetto. Nel corso dell’anno il ghetto, in occasione di alcune iniziative culturali promosse dal Comune e dal Museo ebraico, si anima con spettacoli e musica.
Si ritorna in via Valdonica per la visita al Museo ebraico.