Gli immigrati hanno in genere una storia triste, un po’ negativa almeno all’ inizio, perche la magioranza sono partiti dal loro paese perche la loro vita non andava bene e non avevano le possibilita di vivere decentemente dove si trovavano o ancora non avevano lavoro. Lo vediamo adesso anche nelle storie degli straneri di Italia, che sono venuti qui per cercare una vita migliore, per scappare da un sistema totalitario, patriarcale, o semplicemente per fuggire dalla poverta’.
E anche il caso di tanti rumeni che vengono qui a lavorare, a guadanare un po piu’ di soldi. Tutti in genere hanno un desiderio comune:la speranza di tornare.
Per me e’ strano vedere adesso i miei amici e i miei parenti in questa situazione, perche’ la mia famiglia ha gia’ visuto questa esperienza e sappiamo che non e’ una cosa semplice. Solo che nel nostro caso la storia e’ andata al contrario ed e’ stata piu’ complicata.
Fra le due guerre mondiali, la Romania ha avuto un grande sviluppo. Aveva vinto la prima guerra mondiale e, di conseguenza, reintegrato tutti i suoi territori, avviandosi ad un periodo di prosperita’. Era un paese grande e forte, avevano scoperto il petrolio, l’agricultura e l’industria andavano bene.
L’Italia al contrario aveva perso la guerra, era distrutta e senza grandi prospettive. La gente non trovava lavoro e non riusciva nemmeno a guadagnarsi da vivere. Per le famiglie che vivevano in citta’era ancora piu’ dura, mentre chi abitava in campagna poteva sempresperare nei doni della terra. La famiglia di mia nonna, che si chiamava Marcomini, abitava a Ferrara, una citta’ dove la situazione era molto difficile. Per dare un futuro ai suoi figli, il mio bisnonno decise allora di cercare lavoro in un altro paese. Dall’ ufficio per lavoro all’ estero gli suggerirono di andare in Romania a lavorare nelle construzioni civili. Lui parti’ con la moglie e i suoi figli piccoli e raggiunse la citta’ di Iasi, quando mia nonna Emma aveva soltanto tre anni.
L’ inizio non fu facile: cambiare casa, cambiare clima, un’altra lingua, gente con dei modi di vivere e di pensare diversi. Gli immigrati erano una cosa inusuale per gli abitanti della Romania. Guadagnare il rispetto della popolazione locale non era facile. Il lavoro pero’c’era e questo assicurava loro una vita decente. Poco a poco cominciarono a integrarsi nella nuova societa’ e ogni giorno era un po’ meglio. Per nonna Emma e sua sorella Angela, allora molto piccole, fu anche piu facile integrarsi. Trovarono subito dei compagni per giocare e cosi impararono la lingua e tante altre cose sui rumeni.
Pero’ la felicita’ non duro’ a lungo, perche’ la guerra, la piu orribile cosa del mondo, torno’ ad affacciarsi sul panorama mondiale. I genitori di Emma avevano gia’ vissuto la prima guerra mondiale e sapevano cosa vuoleva dire, pero’ per i bambini era l’ inizio del piu grande incubo della loro vita. Passarono inatti cinque anni di terrore, di paura e di dolore. La Romania lottava contro l’asse Roma-Berlino-Tokyo e tutti i cittadini originari di quei paesi erano sospettati di essere delle spie. Nella tranquilla casa della strada Ipsilanti,dove vivevano i miei avi, adesso c’erano perquisizioni frequenti da partedelle Forze dell’ordine. E la maggior parte del tempo la famiglia lo passava in cantina, a causa delle bombe. Emma non si rendeva conto a dieci anni che la morte era cosi’ vicina, cercava di vivere il piu’possibile la sua infanzia.
Sfortunatamente, la fine della guerra fu soltanto l’inizio di una “malattia” che colpi’ tutta la gente e gli stranieri in particolare: il comunismo. La Romania perse la guerra, e gli rimase come unica “protezione” quella della Russia. I russi imposero presto un regime che voleva cambiare non solo la societa’ ma anche la manera di pensare di ogni individuo, per amore o per la forza. E cosi, la famiglia della mia nonna dovette cambiare la cittadinanza italiana per la rumena e diventare “bravi cittadini costruttori della repubblica socialista” per non andare in prigione.
Qualche anno dopo la guerra, le ragazze andarono nella scuola delle religiose di Notre Dame, in cui potevano studiare sentendosi protette e non guardate male per le loro origini italiane. Era una scuola soltanto per ragazze cattoliche, con un internato dove loro erano sempre al riparo. In quell’ambiente austero ma abbastanza tranquillo mia nonna riusci’ a terminare il liceo. L’anno successivo la scuola venne distrutta per essere “troppo religiosa e contro i valori comunisti”.
Emma cerco di continuare la sua educatione. Entro’ nell’Universita di Belle Arti di Iasi, nella sezione di canto. Lei era una ragazza piena di talento, dipingeva, sapeva cucire ivestiti di scena e cantava benissimo e suonava anche il piano. Era apprezzata dai professori, pero’viveva sempre sotto la vigilanza della “securita comunista”. Tutti gli studenti, gli intellettuali, gli stranieri e la gente che non aveva origini nella “classe lavoratrice” erano seguiti e controllati, e, in modo indiretto, costretti a limitare la loro creativita’ artistica a causa della censura. Non ci si poteva fidare di nessuno, perche’ anche tra gli amici o le famiglie c’erano degli informatori.
Emma desiderava molto diventare una veraartista, pero’ i segnali di allarme del partito erano chiari: lei doveva smettere di andare a l’universita’ perche’ lei era straniera e un’educazione artistica eraconsiderata superflua rispetto alle necessita’ del paese. Anche se lei aveva la cittadinanza rumena da qualche anno, era sempre soot lo sguardo attento della polizia e in continuo rischio di andare in prigione, come tanti altri giovani che lottavano per la loro liberta’ di pensare e di esprimersi. Il secondo anno di Universita’ lei sposo’ un rumeno, per guadagnarsianche un po’la “simpatia” del partito. Rimase pero’ incinta subito ecosi’ dovette abbandonare gli studi. Questo e’ un dispiacere sordo che ancora nasconde nel cuore. Infatti non ne parla mai. Se le domando qualcosa mi dice soltanto: “La vita non era facile a quel tempo”, pero’ io so che il suo piu’ grande sogno era di divetare una cantante.
Adesso non canta frequentemente e quando lo fa, lo fa con tanta nostalgia ein modo cosi’ struggente che ti fa piangere. Quando ero picola, ha insegnato anche a me a suonare l’organo. Questo strumento era un pezzo antico proveniente dalla scuola di suore che era stata distrutta. Piu’ tardi, in condizioni economiche difficili, la mia famiglia decise di venderlo e per la sua bellezza fu acquistato dal museo della citta’. Il casovuole che sia illuogo dove lavorano i miei genitori adesso e quindi ancor oggi posso vederlo e ricordare i miei primi passi sulle note.
Mia nonna i vestiti li fa ancora, in modo artistico ovviamente! Tanto che per venti anni lei e sua sorella hanno fatto i piu bei vestiti di matrimonio della citta’. Mi piacerebbe che facesse anche il mio un giorno!
L’Italia per lei e una frontiera strana, l’inizio di una vita tormentata e nello stesso tempo un obiettivo, perche il suo cuore non puo’ dimenticare di aver cominciato a batere proprio la’. Due anni fa abbiamo avuto l’occasione di partecipare ad una escursione organizzata dal Consulta degli emiliano-romagnanoli nel mondo :“Ritorno alle origini”, cosi’ si chiamava. Infatti siamo andati anche nella regione dove lei era nata: l’Emilia-Romagna.. A 70 anni e senza essere mai uscita dalla Romania, lei non aveva il coraggio di partire. Io pero’ sono riuscita a convincerla e siamo andate insieme. E’ stato un viaggio impressionante, non solo per le bellezze di Ferrara, Ravena, Padova o Venezia, ma soprattutto per vedere i suoi ochi pieni di lacrime nel “sentire” la terra, l’aria e il sapore dell’acqua. In riva alsuo mare sembrava camminare con gli stessi passi insicuri della bambina di tre anni. Cercava di ricordarsi le strade, le chiese, le piazze e voleva vedere tutto. Abbiamo caminato insieme per giorni quella settimana di ottobre e non ha mai detto di essere stanca. Il suo sogno di vedere l’Italia era adesso realta’. Quando siamo partite alla frontera con l’Austria, in mezzo alle Alpi, mi ha detto che era stata l’esperienza la piu bella della sua vita. Mi ha abbracciato e mi ha confessato di essere felice come non era mai stat nella sua vita. Poi mi ha guardato con i suoi occhi blu come il cielo e con una emozione che non aveva mai provato mi ha detto: ”Ringraziamo Dio!”
Racconto e montaggio a cura di Luciana Suica