Cari ascoltatori in questa puntata di una città una storia vi portiamo indietro nei secoli ai nostri avi emiliano romagnoli dell’età del Bronzo. La città di cui narriamo la storia si chiama Montale, in realtà è una piccola frazione di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena. Piccola, giusto poche case e un cimitero, dove da poco riposa il caro maestro Luciano Pavarotti, Montale è conosciuta in tutta Europa per i resti archeologici della Terramarama che lì è stata rinvenuta, un antico villaggio costruito su palafitte e risalente all’età del Bronzo.
Le Terramare erano diffuse nella pianura padana, tra il XVII e il XIII secolo avanti C soprattutto lungo il corso del fiume Panaro, tra Modena e Bologna, ma se ne sono trovati i resti anche in altre zone d’ Europa.
Le terramare dell’Emilia sono l’espressione dell’attività commerciale nell’età del bronzo. Sono insediamenti lungo una via che attraversava le Alpi lungo la Val Camonica e giungeva alle sponde del Po, qui venivano costruite le terramare che fungevano da depositi e punti di partenza delle merci costituite da ambra dal Mar Baltico e stagno dai monti Erzgebirge, con direzione lungo il Po fino alla foce e all’Adriatico, verso il Mar Mediterraneo orientale, il Mare Egeo, Creta, l’Asia Minore, la Siria, l’Egitto.
Queste strutture su palafitte in terra erano adatte per costruire villaggi permanenti lungo le sponde dei fiumi soggetti a straripamenti come quelli modenesi.
Per le fondamenta delle palafitte utilizzavano il frassino, per il pavimento assi di abete, travi di pioppo coperti di canne per il tetto, rami intrecciati di nocciolo per le pareti; per rendere il pavimento impermeabile lo si ricopriva di argilla, mentre le pareti, per proteggersi dal freddo, venivano rivestite di un composto di argilla e sterco di vacca.
Se una terramare prendeva fuoco, veniva abbattuta e ricoperta di terra. Questi resti, uniti agli scarti del villaggio, finivano per formare delle collinette, alcune alte anche più di un metro. La terra, essendo fertile per i numerosissimi resti organici, fu usata per concimare e fu rinominata marna, cioè appunto terra fertile.
Nei primi decenni dell’ottocento il nome terramare era utilizzato per indicare cave di terriccio organico scavate entro basse collinette, frequenti a quei tempi nel paesaggio della pianura padana. Le collinette non avevano un’origine naturale e il terreno che le costituiva, venduto per concimare i campi, era ricco di resti archeologici. Per lungo tempo questi resti furono attribuiti ad abitati o necropoli di età romana o celtica. Solo dopo il 1860, quando in Italia cominciarono ad intensificarsi le ricerche scientifiche di preistoria, ci si rese conto che la vera origine di queste collinette era attribuibile a villaggi dell’età del bronzo e da allora il termine terramara fu utilizzato dagli archeologi per indicare questi abitati. Grazie ai numerosi scavi le terramare divennero famose in tutta Europa e i loro resti andarono ad arricchire i musei della regione. Gli scavi effettuati negli ultimi vent’anni hanno dimostrato che le terramare erano villaggi fortificati databili fra l’età del bronzo media e recente (ca. 1650 – 1170 a.C.), circondati da un terrapieno e da un fossato. La dimensione di questi abitati variava: da 1-2 ettari nelle fasi più antiche fino a 20 ettari nelle fasi più avanzate e la popolazione poteva aggirarsi fra le 150 e 200.000 unità.
Il terrapieno difensivo della terramara di Montale fu individuato e rilevato già nell’800 da Carlo Boni, autore dello scavo e primo direttore del Museo Civico di Modena.
Dalle note e dalle sezioni di scavo che ci ha lasciato, sappiamo che aveva dimensioni imponenti.
La larghezza massima alla base era almeno di dieci metri mentre l’altezza conservata è di due metri, anche se l’elevazione originaria doveva essere ancora più alta e ulteriormente accresciuta da una palizzata che con ogni probabilità si trovava sulla sommità.
Lo scavo ha individuato i resti di cinque abitazioni sovrapposte stratigraficamente, di un granaio e di un’officina metallurgica.
I dati provenienti dagli scavi stanno fornendo un’ingente mole di informazioni scientifiche sugli aspetti archeologici ma anche sulle attività economiche e l’ambiente delle terramare.
Grazie a ricerche specialistiche, è stato possibile ricostruire la situazione climatico-ambientale e comprendere che la comunità di Montale basava la sua sopravvivenza su un’agricoltura già piuttosto avanzata, costituita prevalentemente da cereali e in secondo luogo da alcuni legumi e sull’allevamento di caprovini, suini e bovini.
Tra i resti archeologici prevale il vasellame ma sono attestati anche numerosi reperti in bronzo, corno di cervo, ambra. Particolarmente importante la presenza di alcuni oggetti in legno fra cui un piccolo aratro, resti di archi, un coltello, un’immanicatura di falcetto.
Oggi lì dove sorgeva la Terramara di Montale, il Museo civico archeologico etnologico del Comune di Modena ha realizzato il Parco archeologico e Museo all’aperto della terramara di Montale che si può visitare e che organizza interessanti laboratori per le scuole.
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A cura di Marina Leonardi.