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19 Aprile 2014 | Paesaggio dell'anima

Nel giardino delle duchesse estensi

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

Pierre Phalese: Liber Primus Leviorum Carminum: Pavane et Gaillarde Ferrarreze (esecuzione: La Rossignol).

Ci siamo lasciati, cari ascoltatori, la settimana scorsa a Ferrara. E la musica che state ascoltando vi fa capire che a Ferrara siamo rimasti. La giriamo in lungo e in largo in bicicletta; il tempo è bello, la primavera è arrivata e la città è piena di canti di uccelli, soprattutto dalle parti del Monte di Pietà, uno splendido palazzo costruito nel Settecento là dove due secoli prima c’era il giardino delle principesse estensi. Ed è proprio sopra questo giardino segreto, ormai invisibile a noi ma non a loro, che gli uccelli volteggiano, ricordando il padiglione in cui le dame della corte degli Este li tenevano nel palmo della mano: quelle mani bianche, delicate, che ricevevano i baci degli amanti. Il giardino del Padiglione si trovava a nord del castello, proprio all’inizio della Via degli Angeli, oggi Corso Ercole I d’Este, che nella puntata scorsa abbiamo descritto, esagerando forse un po’, ma non troppo, come la strada più bella del mondo. Via degli Angeli era quasi nascosta dietro il lussureggiante giardino costruito per volere del duca Ercole I nel 1477, al centro del quale, come possiamo vedere da un disegno dell’epoca conservato a Modena, c’era un padiglione, cioè una sorta di grande gazebo, di forma ottagonale, contenente una fontana monumentale. E intorno, un pergolato di gelsomini si aggrovigliava lungo un traliccio di salice.

Luzzaschi: Concerto delle dame di Ferrara. O Primavera (Marinella Pennichi e Sergio Vartolo).

«Quanta Ferrara c’è in questa scrittura che mi fa percorrere / le camere della tua anima, / l’enigma di un sorriso / dove intravedo un’altra nostra stanza?»scrive Patrizia Garofalo in una poesia pubblicata nel volume I poeti del Duca. Excursus sulla poesia contemporanea a Ferrara, a cura di Matteo Bianchi. Il Duca, qui, è sempre presente, respira nelle pietre e nell’aria, simbolo di una tradizione umanistica che nemmeno internet riesce a cancellare. Stanza dopo stanza, si entra furtivamente in questa città d’interni e, come dice la poesia, in un «Arabesco di percorsi / che penetrano il cuore dei luoghi, / nel rito dell’ammissione e della violazione. / Uno sguardo assorto, continuamente pensa la città / in un’ombra che s’incurva alla campagna». Ci piace questa frase: «continuamente pensa la città», perché è vero che Ferrara è uno spazio mentale, è un concentrato di pensiero; d’altronde è stata anche la città di De Chirico, della pittura metafisica. Carla Baroni, un’altra poetessa, ne evoca i tramonti e gli incendi, guerreschi e amorosi. «Solo i cani latrarono distante / tra il cupo scalpitare dei cavalli: / s’udiva il muggir quieto nelle stalle. / Ma lontani falò lungo le mura / bruciarono improvvisi nella notte / e la città fu rossa, quasi accesa /da quel sangue, quel vino, l’aspro fuoco./ Ora al tramonto rapidi fantasmi / corrono lievi in ogni strada e piazza / a incendiare le pietre delle case».

 Carlo Gesualdo da Venosa: Madrigali. Libro VI. Ardita Zanzaretta (esecuzione: Claritas).

Che meraviglia, queste voci! Erano quelle di “Ardita Zanzaretta”, un madrigale di don Carlo Gesualdo da Venosa, il musicista che fece assassinare la moglie e il suo amante per averli sorpresi a letto insieme. Nel 1593, tre anni e quattro mesi dopo il duplice omicidio, Gesualdo arrivò a Ferrara per sposarsi in seconde nozze con Eleonora d’Este: un matrimonio d’interesse, soprattutto per il duca Alfonso II, che cercava l’appoggio dello zio del musicista, il potente cardinale Alfonso Gesualdo, probabile futuro Papa. La speranza del duca, poi risultata vana, era che il cardinale intervenisse a favore della Casa d’Este qualora il ducato di Ferrara, per mancanza di eredi, fosse obbligato a tornare sotto il dominio della Chiesa – cosa che poi sarebbe avvenuta nel 1598, determinando la fine di una delle corti più raffinate d’Europa. A noi non resta che ricordare il vasto giardino della duchessa e delle principesse estensi, abbandonato dopo il 1598 e distrutto nel 1633. Ricordare la spalliera di rose che gli girava intorno, le siepi di bosso, gli alberi da frutto, i cipressi e gli olmi, e il “giardino dei semplici” con erbe e piante odorose che fornivano aromi e profumi per la mensa della corte. Evochiamo questa meraviglia con un altro madrigale di Gesualdo da Venosa, composto su rime del poeta Torquato Tasso.

 Carlo Gesualdo e Torquato Tasso: Madrigali. Libro I. Gelo ha madonna il seno (esecuzione: Marco Longhini e Delitiae Musicae).

Torquato Tasso, l’autore della “Gerusalemme Liberata”, era, come tutti i letterati dell’epoca, mantenuto dai potenti in cambio di versi e poemi. Alla corte estense trovò una vivace vita culturale che molto giovò alla sua arte. Dopo essere stato al servizio del cardinale Luigi d’Este, passò dal 1572 al servizio del duca Alfonso II, intrattenendo rapporti molto amichevoli con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora. Tasso aveva conosciuto Carlo Gesualdo a Napoli. Ne era nata un’amicizia sfociata in una collaborazione artistica; infatti Gesualdo aveva musicato nei suoi Madrigali vari testi del Tasso. L’amicizia finì quando il Tasso, che era mantenuto anche dalla famiglia di don Gesualdo, scrisse quattro sonetti sull’amore tra Maria D’Avalos e Fabrizio Carafa, la moglie del musicista e il suo amante, assassinati da Gesualdo. «Di aspetto poco imponente, piuttosto accigliato, meridionalmente indolente, e pieno di affettazioni di grandezza e di galanteria di gusto spagnolesco»: così veniva descritto Gesualdo da un diplomatico dei duchi d’Este. Alle sue due vittime, così come a Parisina Malatesta e al suo amante Ugo, fatti decapitare a Ferrara nel 1425 da Niccolò III d’Este, che era marito della prima e padre del secondo, dedichiamo “Morirò d’amore” di Giuni Russo.  

Giuni Russo: Morirò d’amore.

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