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27 Novembre 2012 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Olimpionici emigranti (prima puntata)

Due campioni, stesso destino: oro a Los Angeles nel 1932, poi la guerra li blocca all’estero, Attilio Pavesi in Argentina e Nino Borsari in Australia

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

27 novembre 2012

Anno di Olimpiadi, il 2012. Si sono da qualche mese spenti i riflettori su quelle di Londra, e noi torniamo indietro di ottant’anni, ai Giochi olimpici di Los Angeles del 1932. Un’altra epoca per lo sport, che ancora non era fenomeno globale e commerciale, legato all’ansia da record e talvolta falsato dal doping. Allora poteva capitare che a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi fossero ragazzi arrivati allo sport per istinto o per caso, correndo nei campi dell’Italia contadina con la sola forza delle gambe o in sella a una bicicletta saltando sui dossi e le buche. Due di questi ragazzi, originari della nostra regione, furono attratti oltreoceano dalla fama conseguente alla vittoria, e lì restarono, da emigranti: Attilio Pavesi in Argentina e Nino Borsari in Australia. Oggi vi raccontiamo la storia di Attilio Pavesi. 

Dal Memorial Coliseum al Velodromo di Fiorenzuola, le tracce del mito.

 A Caorso, nella bassa padana in provincia di Piacenza, dove nasce nel 1910, Attilio Pavesi nuota nel torrente Chiavenna e gareggia con gli amici. In paese si sfidano due squadre di calcio,la Rampante ela Giocatori Calcio Caorsani.
Attilio frequenta la scuola, che presto abbandona per lavorare nell’officina meccanica del paese. E’ l’undicesimo e penultimo figlio di Angelo Pavesi e Maria Podestà. Con le mani ci sa fare: con una forcella trasforma una bicicletta da passeggio in una bici da corsa, e con questa a quindici anni si butta in strada e corre in una gara, a Zerbio; e poi sulle strade della pianura padana tra Piacenza e Milano. Va forte, lo notano, il ciclismo diventa la sua passione.

Nel 1931 parte per il servizio militare e interrompe gli allenamenti. Ma si avvicinano le Olimpiadi di Los Angeles del ’32 e i soldati atleti vengono radunati a Roma pressola Scuolamilitare di educazione fisica della Farnesina. Lì conosce Giuseppe Meazza, suo coetaneo e già divo del calcio, con cui divide la stanza. Gli atleti godevano di un regime speciale: potevano allenarsi durante tutto il periodo del servizio militare.

Attilio cade dalla bici durante l’ultima gara preolimpica in cui si decidono i nomi dei corridori da mandare a Los Angeles, e rischia l’esclusione. Fortuna vuole che venga inserito come riserva nella squadra che rappresenterà l’Italia mussoliniana: è, infatti, il quinto della lista, dopo Olmo, Segato, Zaramella e Cazzulani.

I 106 atleti azzurri a bordo della nave Conte Biancamano arrivano a New York l’11 luglio 1932 dopo sette giorni di viaggio, ai quali se ne aggiungono altri cinque per raggiungere Los Angeles in treno.
Il 4 agosto si svolge la gara a cronometro dei cento km su strada. Pavesi vi partecipa come ultimo degli azzurri: sostituisce Zaramella che non è in forma. Il favorito è il danese Hansen, ma a tagliare il traguardo per primo è il ciclista di Caorso, con una bicicletta che pesa 8 chili e macina la distanza in due ore, venti minuti e cinque secondi, alla media oraria di 40,514 km. Grande gioia fra gli italiani e i piacentini che ascoltano la radio: a questa prima medaglia d’oro ne segue una seconda che Pavesi vince nella gara a squadre insieme a Cazzulani, Segato e Olmo.

Il nome di Attilio Pavesi è scolpito nel bronzo all’ingresso del Memorial Coliseum di Los Angeles. Tornato in patria, continua a correre in bici, partecipa al Giro d’Italia del 1934, ma la sua carriera è altalenante, a causa di un intervento alle tonsille non riuscito. Nel 1937 accetta l’invito a partecipare alla “Sei Giorni del Luna Park” di Buenos Aires, spinto dal desiderio di conoscere il paese in cui vive la sorella Bianca. Sbarca dalla nave argentina Alsina il 27 settembre. Attilio conta di restare una settimana, ma l’Argentina gli piace, a casa della sorella trova una seconda famiglia e, quando infine decide di rientrare, la partenza delle navi è rinviata perché l’Italia è già sull’orlo della guerra. Nel 1939 Pavesi si stabilisce a Saénz Peña, città alle porte di Buenos Aires, dove apre un negozio di bicilette. Organizza gare di ciclismo e di atletica per la gente del luogo. Nel negozio vende, prepara e ripara biciclette fino al 2000, anovant’anni suonati. Lo spirito, rimasto quello di un ragazzo, lo condurrà fino alla bella età di 101 anni, quando si spegne in una casa di riposo a José C. Paz, vicino all’abitazione della famiglia e della figlia Patricia, presidente del Circolo regionale emiliano-romagnolo del Club italiano. La terra natale non l’ha dimenticato: al campione olimpionico piacentino è intitolato il velodromo di Fiorenzuola. In questo tempio del ciclismo, nel prato all’ingresso, è posta una scultura in acciaio inox che raffigura Pavesi colto nell’atto di affrontare la curva in pista.

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