24 luglio 2012
Ma dov’è il nostro ciclista? Ogni tanto risuona questa domanda in Consulta. Negli uffici climatizzati della Regione, noi siamo al riparo dagli agenti atmosferici, lui invece è là fuori a pedalare, sulle strade impervie delle Americhe, a mangiare polvere e sudore nella sua pazza impresa. Le vicende del terremoto ci hanno distolto per quasi un mese dal suo blog www.bedotrip.it e oggi che ci ritorniamo con una gran voglia di sapere, leggiamo che dal Guatemala è passato in Messico, ha già attraversatola Sierra Madre e sta pedalando lungo la costa del Pacifico.
Raffaele Bedostri, da Polinago, un paesino sull’Appennino modenese, ha già abbondantemente superato la metà del suo viaggio in bicicletta da Ushuaia all’Alaska, dall’estremo sud all’estremo nord del continente americano, confortato ogni tanto dall’ospitalità delle comunità emiliano-romagnole che incontra lungo il percorso, grazie a un accordo conla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo che ha patrocinato l’impresa.
Vogliamo leggervi due sue descrizioni del viaggio. La prima riguarda il sito maya di Tikal in territorio guatemalteco, raggiunto lo scorso 7 giugno.
“Visita al sito maya di Tikal. Per andarci ho preso un bus della compagnia più economica, che merita una descrizione approfondita. Nove ore di bus durante la notte da Guatemala city a Flores, la città dove si fa base per la visita al sito. Dodici euro per questa corsa paragonabile al film ” La corsa più pazza del mondo”. Salgo, non c’è un sedile che abbia il rivestimento intatto, tagli, strappi e gomma piuma in vista ovunque. Per fortuna sono reclinabili per dormire un po’. Tutti sono già così, sfondati, non stanno in posizione eretta. Vetri rotti e rivestimento interno legato col fil di ferro. Tutto molto simile ai bus boliviani. Fuori piove e appena aprono le porte, il bus si riempie, nell’aria quel profumo misto umano e cane bagnato, in aumento, considerato il calore e l’effetto stalla che funziona alla perfezione. C’è gente in piedi e ci resterà per diverse ore.
L’autista dev’essere un ex pilota di Formula Uno, ci scommetto, il mezzo lo ha elaborato personalmente. La scritta dice Scania ma camuffa sicuramente una Sauber o una Minardi.
Il propulsore al minimo è un rombo di tuono, in accelerazione fa paura e, una volta lanciato, la turbina emana un fischio inconfondibile. Fortuna che è notte e non si vede cosa c’è fuori o almeno non si capisce bene la velocità, talmente elevata che nelle curve i passeggeri si spostano per bilanciare, come nelle gare di sidecar. Dietro sicuramente ci sono le sgommate di fuoco come in “Ritorno al futuro”. Bene: finalmente visito questo sito maya: è uno dei più grandi, e pensare che solo il 15 per cento delle strutture e’ disseppellita dalla giungla. Il sito, Tikal, significa “posto delle voci”, e in effetti scimmie urlatrici, pappagalli e diversi tipi di uccelli fanno sì che non si sia mai in pieno silenzio. Così, si rimane per diverse ore in una atmosfera particolare avvolti dalla giungla e questi suoni, ammirando le piramidi, templi e steli avvolti dal mistero di questo popolo tanto evoluto e della cui scomparsa si sa ancora poco. Fa tanto successo il loro calendario che fa credere a molti che ci sarà la fine del mondo: per me questo è come un atto di terrorismo. Va beh, non andiamo oltre…”.
L’ultimo tragitto compiuto da Bedostri è stato quello da Bahiala Cruza Zipolite, lungo 59 km. Scrive nel suo blog: “Dopo la zona di montagna, fino a Zanatepec, la strada è più semplice e mi permette di percorrere più km velocemente. E’ la stagione delle piogge e non c’è giorno che non piova, magari a volte poco, ma spesso mi trovo in mezzo a un acquazzone. In particolare, nel raggiungere Salina Cruz ho preso quello che si dice “un battello d’acqua”; non è un grosso problema considerato il caldo, che a volte mi fa sperare in un due gocce per rinfrescarmi. In questa tappa devo però fermarmi al riparo della pioggia perché in strada scorrono fiumi d’acqua. Alla sera in albergo imparo che sono arrivato con Carlotta. Non molto lontano, sempre sulla costa, il giorno prima si è abbattuto un uragano, Carlotta appunto. Mi informo su internet e scopro che alcuni giorni prima, nei pressi di Puerto Escondido, l’uragano ha provocato seri danni e purtroppo alcune vittime. Ora mi trovo in una zona colpita a Playa Zipolite
Già nell’arrivare qui lungo la strada sono ben visibili i danni: smottamenti, terra, rami e diversi detriti invadono ancora la carreggiata con numerosi mezzi all’opera per ripulire la strada. I proprietari della posada dove trovo posto per la notte sono indaffarati a risistemare tutto. Nel pomeriggio, dopo essermi inevitabilmente addormentato sull’amaca in veranda, vado in spiaggia, riesco a fare un bagno anche se c’è vento e l’oceano è grosso, ma è uno spettacolo e faccio diverse foto. Da buon montanaro mi perdo a guardare le onde, il riflusso dell’acqua, rimango a lungo con lo sguardo su questo movimento perpetuo, che attira come tutte le situazioni naturali. Come quando ti metti alla finestra a guardare la pioggia o la neve, i rigagnoli d’acqua lasciati dai temporali, la neve che si accumula, il vento che muove gli alberi e le foglie, le montagne, il deserto, il mare e la nebbia che copre lo sguardo. Insomma, di fronte a tanta potenza della natura rimango sempre incantato ed entusiasta, anche se tutto questo crea paura e alle volte disastri. A casa la terra trema, qui gli uragani spazzano via baracche”.