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15 Gennaio 2013 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Polvere, zolfo e oro

L’inferno delle miniere dalla Romagna al Brasile

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redighieri.

15 gennaio 2013

I minatori sardi del Sulcis che protestano per l’incerto destino della loro miniera, ci ricordano le condizioni di vita nel “mondo sotterraneo”, dove il calore soffocante nei cunicoli e l’odore acre della polvere sono stati il pane e la disperazione per molte generazioni di uomini nell’intero pianeta. Per i dannati del sottoterra, la miniera è compagna infida: la morte è sempre dietro l’angolo. La miniera è epica, ha uno spessore esistenziale forte, quasi mitico, ricco di prove fatali, riscatti e redenzioni, dal Germinale di Emile Zola – il primo grande libro “minerario” – al disastro belga di Marcinelle.

Miniera ed emigrazione: Marcinelle nel 1956 fu la tomba di 262 lavoratori, di cui 136 italiani. Centinaia i morti anche nelle disgrazie minerarie in terra americana: 362 aMonongah (West Virginia) nel 1907, di cui 171 italiani; 259 nell’incendio divampato a Cherry (Illinois) nel 1909 e 263 nell’esplosione della miniera di Dawson (New Mexico) nel 1913. Nei mine disasters di Cherry e di Dawson un consistente numero di vittime veniva dall’Emilia-Romagna: 66 e 38 rispettivamente.
I nostri non andarono a spaccarsi la schiena solo nei pozzi profondi delle miniere belghe o francesi, o a caricare vagoni di carbone in quelle americane. Grazie all’attività della Società di Ricerca e Studio della Romagna Mineraria, sappiamo che vi fu anche un’emigrazione importante dalla Romagna alle miniere d’oro del Minas Gerais in Brasile: un filone che si era perso nei rivoli del tempo e che ora è ricomparso seguendo le tracce indicate da alcuni brasiliani di Belo Horizonte con radici romagnole.
Nel 2002 il presidente della Società della Romagna Mineraria, Pier Paolo Magalotti, riceve una mail: “Mi chiamo Cesar Gualtieri, sono un cittadino italo brasiliano di Belo Horizonte, cerco informazioni sul mio bisnonno Luigi e sul nonno materno Belloni Miguele, entrambi minatori che hanno lavorato nelle miniere di Borello. In Brasile sono morti prematuramente per la silicosi presa in una miniera d’oro”.

Cesar Gualtieri, preside della facoltà di architettura all’Università di Belo Horizonte, si era messo come un segugio sulla traccia del bisnonno ed era arrivato alla solfatara di Formignano, antico villaggio minerario nei pressi di Borello, in provincia di Cesena. Indagati gli archivi parrocchiali e le liste di emigrazione, ricostruiti i flussi, raccolte le testimonianze, emerge la verità: il 6 dicembre 1895 entrò nel porto di Santos, dopo quasi un mese di navigazione, il piroscafo italiano Agordat stracolmo di emigranti. Tra questi, c’era il 48enne Luigi Gualtieri di Tessello, frazione di Cesena, che aveva lasciato la zolfara di Formignano dopo il fallimento della Società delle Miniere Solfuree di Romagna, ed era andato a cercar fortuna in Brasile, con la seconda moglie Maria Zaccherini e i tre figli di diciotto, otto e due anni, mentre la figlia maggiore di ventitré era rimasta in Italia.

Le cronache del 1895 del giornale cesenate “Il Cittadino” documentano la partenza dalla stazione di Cesena al porto di Genova, di decine e decine di famiglie di minatori, che piroscafi dai nomi altisonanti di battaglie d’Africa come l’Agordat, o di condottieri come Giulio Cesare, avrebbero portato in Brasile. Si calcola che furono oltre settecento gli espatri dalla Romagna al Brasile tra il 1894 e il ’96, considerando anche i familiari che accompagnarono i minatori diretti ai bacini auriferi. I romagnoli presero il posto degli schiavi neri che a migliaia furono strappati all’Africa per estrarre oro dalle viscere della terra a  Ribeirao e a Ouro Preto, le cui chiese magnificenti sono il frutto della ricchezza bagnata di sangue dell’”oro nero”.

Nel 1989, durante un viaggio in Italia, Ruy Magnani Machado, docente di chimica all’Università Statale di Belo Horizonte, va a trovare una parente brasiliana che abita a Bologna. Da una discendente della famiglia Rossi, che aveva vissuto a Belo Horizonte, riceve una busta con un indirizzo di Forlì. Si reca a quell’indirizzo e viene accolto da parenti che non sapeva di avere. Scopre, da loro, che suo nonno, Leopoldo Magnani, era emigrato da Formignano insieme alla moglie Rosa Rossi e a cinque figli. In Brasile nacquero altri quattro figli, tra cui Palmira, la madre di Ruy Magnani. Leopoldo Magnani, morto nel 1916 quando Palmira era solo undicenne, aveva lavorato con Cesare Gualtieri, il figlio di Luigi, prima nella solfatara di Formignano e poi nella miniera d’oro di proprietà degli inglesi, a Passegem di Mariana, nel Minas Gerais, lo Stato del Brasile che nel nome porta il suo destino (vuol dire “Miniere generali”).

Patrizia Collina, docente di letteratura italiana all’Università di Belo Horizonte, collabora con la Società della Romagna Mineraria recuperando dagli archivi brasiliani i nomi dei minatori del comprensorio cesenate emigrati nel 1895. Per la prima volta dopo 115 anni un suo studente, Luca Palmesi, ha consultato gli archivi della miniera d’oro di Passagem de Mariana. A Cesena stanno già facendo i riscontri dai primi elenchi. Tra i nomi, anche quello di Alfonso Mazzanti, con la moglie Maria Canali e sei figli. Pier Paolo Magalotti fa una breve indagine in internet sull’elenco telefonico del Brasile e trova diversi Mazzanti.

Invia la lista all’amico Ruy Magnani a Belo Horizonte che si mette al telefono. Alla terza chiamata risponde Helio Mazzanti: Alfonso è suo bisnonno. Helio quasi sviene dall’emozione: nessun Mazzanti era più tornato in Italia, le origini della famiglia si erano perse nella nebbia degli anni. Il 7 novembre 2011 nel teatrino della parrocchia di Helio a San Paolo, si sono riuniti quaranta discendenti del capostipite Alfonso, arrivati dall’intero circondario, ognuno con una cosa da far vedere: una foto, una lettera, un documento. Il più anziano era Federico Mazzanti, classe 1913, figlio di Giulia Rosa Mazzanti, nata a Formignano nel 1886.

Il cerchio si chiude, per il momento, con la vicenda di Luigi Carli, anche lui imbarcato nel 1895 sul piroscafo Agordat. Lo accompagnavano la moglie e due bambini piccoli. Passato il controllo sanitario alla Hospedaria dos Imigrantes di San Paolo, la famiglia si stabilisce a Santa Cruz das Palmeiras, dove Luigi lavora come bracciante a Santa Veridiana, in una delle principali fazendas di caffè. Anche qui, però, la vita è dura: tanto vale, allora, tornare in miniera, a Passagem de Mariana, distante circa cinquecento chilometri da lì, da percorrere a piedi o su carri a trazione animale. Ma, come scrive il nipote Renato Carli, “l’intenso calore delle gallerie, l’umidità che aumentava via via che si scendeva ai livelli più profondi, il respirare polvere di silice mista a gas esalati dal sottosuolo e dai componenti usati negli esplosivi, come zolfo e salnitri, minavano la salute in modo devastante”. Luigi morì per infarto nel 1934.  

Grazie alla Società della Romagna Mineraria sopravvive, come esempio di archeologia industriale, il villaggio minerario di Formignano, con le strade, le abitazioni, gli uffici, la centrale elettrica, gli spogliatoi, i resti dei forni per la fusione dello zolfo. Dai paesi romagnoli dello zolfo a quel posto nel lontano Brasile, tra Mariana e Ouro Preto, dove il sottosuolo nasconde il brillio dell’oro, si svolgono le esistenze nomadi e polverose dei minatori, alla ricerca forse solo di quel “diamante disperato che è la vita”, come scriveva René Char.

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