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11 Marzo 2020 | Racconti d'autore

Sette messaggi al sindaco del mio paese e a tutti gli altri

Testo di Tonino Guerra tratto dal libro “L’infanzia del mondo. Opere (1946-2012)” (a cura di Luca Cesari, Milano, Bompiani – Giunti Editore, 2018)

A cura di Vittorio Ferorelli (Istituto Beni Culturali Regione Emilia-Romagna) e Rita Giannini (Regione Emilia-Romagna). Lettura di Pier Paolo Paolizzi

Il 16 marzo 2020 ricorrono i cento anni dalla nascita di Tonino Guerra, scrittore, poeta, artista e sceneggiatore, rimasto sempre legato a Santarcangelo di Romagna, ai suoi luoghi e alla sua lingua. Vi proponiamo un testo in cui si rivolgeva al primo cittadino del suo paese, esprimendo la sua idea di cittadinanza universale. Ringraziamo l’attore Pier Paolo Paolizzi per la lettura.

1.
Signor Sindaco, questa è la Piazza di sempre, insomma questi sono i muri. La vita, invece, col tempo è cambiata. Devo farmi da lontano per arrivare al nocciolo principale dei miei messaggi. So che un tempo qui c’erano campi e orti e poi lo spazio fu chiuso per creare il punto di incontro degli abitanti che fuggivano dal quartiere medievale, in alto. Così tutte le farfalle e anche gli scarabei, le vespe e gli uccelli selvatici scomparvero da questo quadrato di terra ridotto ormai un crocevia di strette di mano, di incontri, di biciclette, di automobili. Ricordo d’aver visto da bambino il vento che ancora alzava la polvere della Piazza Grande, e la neve che d’inverno rigava il cielo con voce morbida, e chiudeva la bocca ai rumori. Allora si stava intorno alla Piazza con la schiena contro i muri o sotto i portici a guardare felici quella festa che univa i corpi. Adesso la meraviglia si è ristretta nei rettangoli delle finestre o è chiusa oltre gli sportelli delle macchine. Chi ci può chiamare a raccolta in Piazza Grande? Quale suono di campane occorre per far godere lo spettacolo a tutti assieme? La neve non è per un uomo solo chiuso nella sua gabbia di paura.

2.
Signor Sindaco, su questa Piazza pascolò un leone scappato al Circo Orfei e spaventò i cani da caccia con l’odore di selvatico che usciva dai suoi peli. Allora tutti i fucili del paese si affacciarono alle finestre e sputarono fuoco sull’animale sdraiato sotto il monumento ai caduti come se facesse parte di quel monumento o volesse imitare la posa di altri leoni di pietra intravisti davanti ai portali di antiche cattedrali. Il leone fu cotto e mangiato; e la gente discusse con la pancia piena d’Africa stando sulle sedie del caffè sparpagliate per la Piazza. Devo aspettarmi l’arrivo di un rinoceronte per rinnovare questa veglia paesana col sapore di una delizia collettiva?

3.
Caro Sindaco, ho visto questa piazza nell’agosto del ’44 piena di buoi che i tedeschi portavano a Ravenna per spedirli a pezzi nelle città affamate della Germania. Ho visto la Piazza piena di sole e di sterco secco dopo la partenza degli animali e in tutto questo disordine carico di dolore, l’accalappiacani serviva le autorità comunali ostinandosi a cercare di imbrigliare un cane randagio. Quale assurda parvenza di ordine in un mondo così sgretolato! Ero nell’ombra di una colonna, pieno di amore per il cane che grattava lo sterco stopposo in cerca di cibo. Quando il laccio stava per essere lanciato nell’aria accaldata, ho gridato e il cane, messo in allarme, è corso lungo la strada del fiume. Ma già un moschetto fascista puntava la canna nella mia schiena e così ho attraversato la Piazza preso nel laccio di questo sicario analfabeta. Allora quel deserto della Piazza era giustificato.

4.
Signor Sindaco, quando nel dopoguerra il merci impolverato mi ha lasciato alla stazione e io a piedi, reduce ritardatario, dopo che la banda aveva suonato gli inni per le strade e gli stivali lucidi tolti dai piedi mascalzoni e ammucchiati attorno al monumento vennero riempiti di urina, sono arrivato a casa, dalla casa mi sono affacciato in Piazza Grande. Ho visto per la prima volta i tubi al neon, e le poltroncine di ferro fuori da due caffè avevano sostituito le sedie pieghevoli di legno. Ma la gente era ancora su quelle sedie a stare assieme e a ricominciare a vivere. Pochi anni dopo, qualcosa è cambiato: l’ala nera del corvo si è messa a bastonare l’aria e così la paura si è infilata nelle orecchie assordandoci.

5.
Signor Sindaco, è dal centro di questa Piazza che io continuo a misurare il mio spazio. Anche se vado a Mosca o nella calda Georgia, calcolo le distanze sapendo che i pochi chilometri che ho fatto da ragazzo a piedi o in bicicletta, dalla Piazza al mare, dalla Piazza alle prime colline, sono gli unici che contano. I lunghi voli sono viaggi fermi o mentali. Valgono soltanto i primi chilometri fatti a piedi e anche adesso rifletto a lungo se dalla Piazza devo raggiungere il mare. Più facile decidere di andare all’Equatore o al Polo Nord, perché quelle sono distanze che appartengono alla magia. Dieci chilometri, invece, sono interminabili. La Piazza Grande è il centro di tutti gli spazi che ho avuto in regalo, anche tu Sindaco li hai avuti e anche gli altri. Ecco perché ti prego di affacciarti dal balcone e di guardare a lungo questo rettangolo fondamentale per la tua e le altre vite. Un punto di partenza o di arrivo, un punto di riferimento continuo non può non essere abbandonato, deve sentire la febbre di una tua attenzione continua e precisa. Adesso più di prima, adesso perché il deserto di uomini sta verificandosi dove un tempo la gente si vedeva e si abbracciava. La paura che parte dalla coda velenosa degli scorpioni sta occhieggiando da dietro gli spigoli delle case. Bisogna superare quegli spigoli e tornare a fare gruppo in Piazza. La paura è amica dei televisori e dell’egoismo familiare. Mangiamo carne e immagini e intanto la voce che esce dai meccanismi riempie i silenzi tra uomo e donna, tra genitori e figli. Così bisogna tornare dove la parola è ridata alle nostre bocche e le immagini germogliano nella nostra fantasia.

6.
Signor Sindaco, l’altro giorno ho fatto dei piccoli sogni uno dopo l’altro. Tutte le volte appariva la Piazza Grande col rettangolo usato in modo diverso. Nel primo vedevo che i palazzi tutt’attorno racchiudevano un orto, come una volta. E io mi chiedevo se non sia giusto togliere il selciato e rimettere rettangoli di aglio, di cavoli e di girasoli. Vedevo che i paesani camminavano lungo i sentieri e si piegavano per controllare se gli ortaggi erano giusti da raccogliere. Sorridevano e si scambiavano delle foglie. Poi ho sognato la Piazza come è adesso; ma con un albero in più, un ciliegio in un angolo, che nello spazio breve di un attimo metteva le foglie, poi i fiori, poi i frutti e in ultimo restava nudo, pronto a ridursi un ricamo con la neve. Allora ho detto: questo è possibile. E anche altri piccoli accorgimenti. I lecci seri e imbronciati potrebbero vivere a Natale con piccole scintille luminose grandi come lucciole e in modo che si possa dire che le stesse sono cadute in Piazza Grande. E non quelle palline di plastica colorata che imitano frutti velenosi. Tante cose così. E anche musica, perlomeno la domenica mattina alle undici, e magari tutti i giorni quando la sera è trascinata da scarpe solitarie e la nebbia racchiude nei suoi veli i lampioni, un valzer di Faini o di Strauss agli altoparlanti rannicchiati tra gli alberi. Bisogna tornare a essere bambini per governare.

7.
Caro Sindaco, è ora che tu cominci ad ascoltare le voci che sembrano inutili, bisogna che nel tuo cervello occupato dalle lunghe tubature delle fogne e dai muri delle scuole e dagli ospizi e dall’asfalto e dai ferri e dalle pillole per gli ospedali, bisogna che nel tuo cervello pratico e attento soprattutto ai bisogni materiali, bisogna che entri il ronzio degli insetti. Devi pregare che su questa Piazza arrivino le cicogne o mille ali di farfalle, devi riempire gli occhi di tutti noi di cose che siano l’inizio di un grande sogno, devi gridare che costruiremo le piramidi. Non importa se poi non le costruiremo. Quello che conta è alimentare il desiderio, tirare la nostra anima da tutti i lati come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito… Ecco che arriva la nuvola di farfalle, ecco che tutti abbandoniamo la sedia di casa e lo stretto cannocchiale delle finestre. Stiamo tornando al centro della Piazza per godere assieme questo spettacolo. I grandi godimenti sono quelli che si provano succhiando dagli altri la meraviglia che esplode. Solo così può rinascere la bella favola del nostro e del tuo paese.

Tonino Guerra

[Il testo è stato scritto per un manifesto realizzato dall’editore Maggioli nel 1988 e poi pubblicato nel volume: “Le Lucciole. Tonino Guerra”, Rimini, Provincia di Rimini, 2009; le musiche sono di Giulio Faini (registrazioni originali conservate dal Comune di Santarcangelo di Romagna) e di Federico Mecozzi (dall’album “Awakening”)]

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