17 dicembre 2009
Paolo Nori è nato a Parma nel 1963. In questo libro, dice, “non si prova a scrivere una guida senza riuscirci, qui non ci si prova neanche, perché è successo dell’altro”. Certo, raccontare una città quando non si abita più lì, non è impresa facile. Specie quando l’autore ha dovuto lasciarla, e comunque ci torna ogni due giorni, per incontrare una figlia che non vive più con lui. E quando in quella città ha lasciato il suo gatto, che non riempie più di peli il divano nuovo, anche perché il divano è rimasto bloccato in un ingorgo sulla via Emilia… In mezzo a tanto caos, Paolo Nori dimentica di raccontare la sua (ex) città, Bologna. Ma racconta il suo mondo (dentro e fuori), in pagine svagate, trasognate, lievi. Leggiamo nel suo sito un appunto lasciato il 12 dicembre 2008, un venerdì: “Bologna per un po’, non mi è stata molto simpatica. Poi adesso, quest’estate, ho cominciato a trovare dei posti che mi erano, non so come dire, familiari. Passavo davanti a un portone, e pensavo Qui ho fatto la visita per l’assicurazione, di quell’incidente che ho avuto.
Passavo davanti a una strada, e pensavo Qui ho iscritto mia figlia alla mutua. Passavo su un viale, Qui sopra c’è il mio medico di famiglia che sono tre anni che non ci vado, pensavo. Passavo davanti a una farmacia Qui facevamo le impegnative per l’ecografia. Così”.
Siam poi gente delicata
di Paolo Nori
4.2. Il coso lì, il coso della cosa lì, l’articolo che ho mandato a la Repubblica
Quando abitavo a Bologna, da casa mia, in centro a Bologna, se avevo voglia di un chilo di pane dovevo fare cinquecento metri, se avevo voglia di farmi una lampada nel giro di cinquanta metri potevo scegliere tra quattro diversi centri di abbronzatura.
È una città molto bella, Bologna, ma viverci è abbastanza difficile, per chi non sia studente universitario o non partecipi a una fiera. Se uno è studente universitario o è lì per la fiera, è lì temporaneamente, per qualche giorno, o qualche anno, le sopporta, le assurdità, ma se uno pensa di viverci tutta la vita, le assurdità da sopportare per tutta la vita sono pesanti, da sopportare.
Uno per dire pensa Adesso faccio la raccolta differenziata, e si mette a cercare le campane della raccolta differenziata, non ci sono, in centro a Bologna, le campane della raccolta differenziata, e perché non ci sono? Perché non stan bene. Stonano. Allora niente raccolta differenziata.
Anche questa storia che è successa adesso degli extracomunitari che coverebbero il terrorismo islamico che non li vuole nessuno, a Bologna, anche questo fatto che Bologna improvvisamente da città estremamente civile sarebbe diventata di colpo una città razzista, non è vero, a Bologna per il momento si fa fatica a accettare gli extracomunitari perché gli extracomunitari si rifiutano di adeguarsi alla moda. Io non ho mai visto un extracomunitario farsi una lampada, per dire.
Però se domani diventasse di moda essere pallidi, c’è da stare sicuri che, per dire, i polacchi, sarebbero subito tutti integrati. A parte che i polacchi oramai son comunitari anche loro. Ma lasciamo stare.
Io non lo so, a me ultimamente mi è tornata in mente una cosa che ho letto qualche anno fa che la popolazione a Bologna negli ultimi anni è diminuita di quasi centomila persone, non c’è da stupirsi, Bologna non è una città da abitarci, Bologna è una città parassita dove passar qualche anno o qualche giorno a spender dei soldi e far degli affari e poi tornare a vivere in un posto normale con dei supermercati, se vuoi comprare dei chili di pane, con delle campane per la raccolta differenziata, se vuoi fare la raccolta differenziata, dei posti non molto alla moda ma non è che si può vivere sempre in dei posti alla moda.
4.10. Il mio bel pezzo ottimista come quello di Walser Bologna è così
L’altro giorno, uscivo da casa di mia figlia, a Bologna, c’era un’aria così leggera che ho pensato che non avrei preso subito il treno che avrei fatto volentieri una passeggiata. Mi sono incamminato per via Indipendenza, tutti quei bei negozi così raffinati e così tipicamente bolognesi, non ci si poteva sbagliare, eravamo proprio dove eravamo e poi anche il sole, c’era un sole che un sole così bolognese io non l’avevo mai visto nella mia vita, mi sembrava l’altro giorno.
A un bel momento ho visto una ragazza così carina, e sembrava proprio che guardasse me, mi sono voltato, non c’era nessuno, dietro di me, mi son rivoltato, lei ha fatto sì con la testa come per dire Guardo proprio te, scioccone.
Allora mi sono avvicinato Buon giorno, le ho detto Ciao, mi ha detto lei, andiamo al cinema? mi ha chiesto. Be’, le ho detto io, veramente, è un momento che preferirei non allacciare relazioni, per il momento, però ti ringrazio, sei molto gentile e molto carina, anche. Ma guarda che qua a Bologna siamo tutte così, mi ha detto lei, dovresti veder mia sorella. Vieni a casa mia, mi ha detto, che te la presento. Io ho scosso un attimo la testa Ma non per allacciare una relazione con lei, scioccone, mi ha detto lei, e aveva un modo così bello, così bolognese di dire Scioccone che io ho sentito la bocca che misi allargava in un sorriso e ho detto Va bene, vengo.
Difatti poi sono andato, abitava nella centrale strada Maggiore in un appartamento a pianterreno con una cucina molto luminosa dove una signora tipicamente bolognese sui cinquant’anni ancora molto piacente che stava tirando la sfoglia ci ha accolti con un sorriso luminoso Ciao Nàni, ha detto alla ragazza, hai portato un ospite? Si ferma a mangiare?
Aspettami qua, scioccone, che vado a chiamar mia sorella, mi ha detto la ragazza e io mi sono seduto, la signora mi ha guardato mi ha detto Lo sa che Bologna è la più antica università del mondo, lei di dov’è? Di Parma. Ah, Parma, ha detto lei, bella città, Parma, e si è rimessa a tirar la sua sfoglia e io ho sospirato Poi dicono che il mondo è corrotto, ho pensato.
5.3. Razzismo e antirazzismo
Dopo succedono ancora delle cose che io non lo so, cosa mi sta succedendo, le cose.
Una volta un po’ di tempo fa una mia conoscente mi ha chiesto di scrivere un pezzo sulla biblioteca dove lei ci lavora, che è una biblioteca dove vado anch’io, qualche volta. Le serviva questo pezzetto per pubblicarlo poi nel bollettino della di lei biblioteca per i loro utenti, per cortesia. Ma non so cosa scrivere. Ma va benissimo anche quella cosa che mi hai raccontato di tua figlia. Ah. Davvero? Sì sì.
Allora ho scritto un pezzetto che si chiama Delle volte che gliel’ho anche mandato.
una mamma americana si è messo a piangere allora sentire un suo coetaneo che piangeva anche mia figlia stava per mettersi a piangere anche lei. Allora delle volte quella volta lì io le ho detto Ascolta, non piangere. Lui piange perché è americano. Tu sei italiana. Di madre bolognese di padre parmigiano. Non hai nessun motivo di metterti a piangere, tu, le dico delle volte a mia figlia quella volta lì. Dopo delle volte mi vien da pensare che era facile, negli anni sessanta, essere antirazzisti. A Parma, non c’era altro che dei parmigiani, a Parma, negli anni sessanta. Se c’era per caso un bolognese, era Il bolognese, era un caso strano, delle volte negli anni sessanta, a Parma, un bolognese. Adesso oggi è molto più difficile, mi vien da pensare a me delle volte, essere antirazzista. Questa cosa gliela dico ogni tanto anche a mia figlia. Oggi è più difficile, le dico, essere antirazzista.
Ecco. Allora oggi, dopo qualche settimana, quella mia conoscente mi scrive che loro questo mio pezzetto non lo possono pubblicare nel loro libretto che non sa se lo capirebbero, i loro utenti. Un pezzo così semplice.