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29 Marzo 2014 | Paesaggio dell'anima

Sotto il cielo della “Bassa”

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Radighieri.

Tim Hecker: Chimeras.

Cari amici, tra i pioppi e gli acquitrini della “Bassa”, dove l’eccelso pittore Parmigianino ambientò la favola di Diana e Atteone, sorge un castello circondato da un fossato: una rocca in mezzo alla pianura, con le cortine merlate, i torrioni, le scuderie, e una solidità militare ingentilita dall’uso del cotto. Intorno, c’è il borgo con le sue case strette e basse, e le piccole botteghe sotto i portici dagli architravi di legno. Sul selciato non scalpitano più gli zoccoli dei cavalli, dal fossato sono spariti carpe e gamberetti di fiume, ma la piccola contea padana dei Sanvitale non sarà cancellata dalla storia finché qualcuno arriverà a Fontanellato per cercare la bellezza. In una saletta della rocca, dipinta dal genio del Parmigianino, si vive l’emozione di un enigma: gli eleganti levrieri che sbranano Atteone mutato in cervo per aver visto nuda la dea, hanno gli stessi occhi passivi del cervo. Anch’essi sono vittime degli dei, sembrano dirci le meravigliose immagini di questa favola campagnola per iniziati, dove Diana, le ninfe, i cacciatori, i cani, il cervo, le fronde, il cielo, ci trascinano nel mistero insondabile della vita.

Cocteau Twins: Persephone

Splendido, questo pezzo del 1984 dei Cocteau Twins, dedicato alla dea greca degli Inferi, Persefone, invocata nei riti magici. Dobbiamo ripassare un po’ la mitologia per capire il significato degli affreschi del Parmigianino a Fontanellato. Diana in terra, Luna in cielo, Persefone sottoterra: non è così che vita e morte s’intrecciano? Protagonista del dipinto è Diana, la dea della caccia, immaginata dagli antichi come una bellissima giovane, armata di arco, che abitava nei boschi e si circondava di una corte di ninfe cacciatrici che, come lei, conservavano la verginità. Diana era pura come la luna, la quale infatti era chiamata la «Diana notturna». Ma un giorno di una calda estate – racconta il mito dipinto dal Parmigianino – il giovane cacciatore Atteone, inoltratosi nel bosco con i suoi cani, s’imbatte in Diana che si rinfresca nell’acqua con le sue compagne. Indispettita per essere stata vista nuda, Diana spruzza dell’acqua sul viso del giovane tramutandolo in cervo. I suoi cani, non riconoscendo il padrone, lo sbranano. E noi ascoltiamo un brano che s’intitola «Artemis», che era il nome greco di Diana.

Jana Runnalls: Artemis (da “Return to the goddess”, 1999).

Nella saletta di Diana e Atteone, oscura e colorata insieme, è rappresentata una storia che a Parma era ben nota, poiché vi si conserva un incunabolo del 1477 con l’opera completa del poeta latino Ovidio, che fu il primo a raccontarla. Probabilmente fu un intellettuale cittadino a suggerire al conte Galeazzo Sanvitale questo soggetto per la sua stanza “segreta”, come pure la scritta che corre nel fregio alla base degli affreschi. Questa scritta si pone un’angosciosa domanda: perché tu, dea, hai dato Atteone in pasto ai suoi cani, se è stato il destino a condurlo a te? Che colpa aveva lui, se, senza volerlo, si è trovato di fronte alla tua nudità? Lo scrittore francese Pierre Klossowski dà un’interpretazione sofisticata dell’eterno problema del rapporto tra colpa e pena: dice che, se avesse voluto non essere vista, la dea avrebbe potuto prendere altre sembianze, o spaventare prima il cacciatore. In realtà, bruciava dalla voglia di essere vista, di assumere un corpo che, appena visto, inebriasse un mortale. Ed ecco l’estasi di un Atteone vagante, che irrompe nello spazio mitico di Diana, ma in realtà «aspetta nel suo spazio mentale, in fondo alla grotta, che lei venga a tuffarsi nella fonte». C’è un demone che s’insinua tra la dea e il cacciatore provocando la rovina di quest’ultimo: questo demone si chiama desiderio. Chiudete gli occhi e ascoltate questo brano di Theo Travis e Robert Fripp, due maestri della musica contemporanea, se volete entrare anche voi nello spazio del mito.

Travis & Fripp: Pastorale.

E adesso, cari amici, guardiamo la bellezza di queste pitture di Fontanellato: queste scene di ninfe al bagno, di cani elegantissimi, di bambinetti e cacciatori. Siamo anche noi, appostati in fondo alla grotta, ad aspettare che si manifesti la bellezza. Oppure, come Atteone, dopo averla vista, vaghiamo in estasi per le selve e le foreste che ancora ricoprivano la terra di Parma cinquecento anni fa; e la metamorfosi in animale, in cervo, non è che il doloroso ritorno alla natura perduta, al niente da cui veniamo e di cui ci irridono gli dei. Ma a noi basta guardare in alto, nell’architettura aerea della volta dipinta dal Parmigianino, un genio morto a 37 anni di ebbrezza alchemica; guardare in alto, sopra i festosi bambini che giocano e lottano, sopra le fronde, il pergolato e la siepe ottagonale di rose, e vedere uno squarcio di cielo. Vedere il cielo del grande pittore erede di Raffaello, il cielo delle campagne parmensi nel Rinascimento, quell’azzurro: ahi, questo azzurro! E ascoltare la voce di Philippe Jaroussky che canta la canzone di Pancho Cabral …

Christina Pluhar & L’Arpeggiata: Ay! Este azul (di Pablo Cabral).

Brano corrente

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