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7 Marzo 2017 | Archivio / Protagonisti

Speciale Festa della donna – Amalia Bagnacavalli

La donna che a fine Ottocento chiese giustizia alla sanità bolognese

A cura di Vittorio Ferorelli

Care amiche e cari amici di RadioEmiliaRomagna, la storia che vi raccontiamo oggi è una di quelle vicende che rimarrebbero sepolte negli archivi e dimenticate per sempre, se qualcuno non le recuperasse con cura riportandole alla luce. Se oggi conosciamo il nome e la resistenza civile di Amalia Bagnacavalli, una delle tante contadine analfabete che popolavano i nostri Appennini nell’Ottocento, lo dobbiamo infatti a David Kertzer, lo storico americano della Brown University che qualche anno fa le ha dedicato un libro appassionato. Lo studioso stava indagando negli archivi dell’Ospizio degli Esposti, a Bologna, per una ricerca sul fenomeno dei bambini abbandonati, quando si è imbattuto in un caso che, per la gravità dei fatti, poteva stare a sè.

Nel marzo del 1890, poco più che ventenne, Amalia si è decisa a venire a Bologna lasciando per un giorno il borgo di Oreglia, la località di montagna nei pressi di Vergato in cui abita insieme al marito Luigi e alla figlia Adele, di appena un anno. Spinta dalla povertà dei raccolti, ha accettato di fare da balia: l’Ospizio dove si raccolgono i piccoli abbandonati, che in città tutti chiamano l’Ospedale dei Bastardini, le affida una neonata da allattare, in cambio di 9 lire al mese. Amalia si accorge subito che qualcosa non va. La bimba che le stanno consegnando non sta bene, è sofferente, sembra deforme. Lo fa presente al dottore che ha di fronte, ma lui minimizza e taglia corto: o così o niente. Tornata a casa, la giovane prova a curarla come può, offrendole il seno. Quando la piccola si aggrava, non resta che portarla dal medico del paese. Il dottor Carlo Dalmonte resta sconvolto: ancora una volta l’Ospizio degli Esposti ha messo nelle braccia di una donna sana una bambina chiaramente affetta da sifilide. Le ordina di smettere subito l’allattamento e di riportarla a Bologna. Ma ormai è tardi: il contagio è avvenuto.
Il “male francese” imperversava da secoli in Europa e in una città in cui la prostituzione prospera come non mai si tratta di una vera e propria emergenza sanitaria, tanto che da qualche anno il Ministero della sanità ha allertato i medici sui rischi dell’allattamento. Dalmonte, che ha già visto altre vicende simili e ha provato invano a denunciarle, questa volta non ha dubbi: Amalia può e deve fare causa all’Ospizio, chiedendo un giusto risarcimento, e per questo le consiglia di rivolgersi a un giovane avvocato. Si chiama Augusto Barbieri ed è ambizioso abbastanza da accettare il caso, intuendone la portata. A rispondere di negligenza viene chiamato un illustre e potente rappresentante dell’elite bolognese, il conte Francesco Isolani, presidente dell’Ospizio, che in altri episodi come questo ha liquidato la questione dando la colpa al destino ed elargendo un’elemosina di 15 lire.

Le prime fasi del processo vanno tutte a favore dell’istituzione pubblica. Nonostante la letteratura medica attesti fin dal Quattrocento la relazione tra allattamento e contagio, ben due medici, nominati come periti, dichiarano che non ci sono prove certe del passaggio del morbo dalla neonata alla balia. L’avvocato insiste e affida una controperizia a Domenico Majocchi, appena nominato direttore della Clinica dermosifilopatica del Sant’Orsola. Grazie alla sua documentazione la tesi viene ribaltata. Per Barbieri, che conduce la causa in nome di Amalia e di suo marito, l’ospedale è colpevole di avere sottovalutato la gravità della situazione: non ha mai assunto uno specialista di questa malattia così diffusa, non si è neanche mai dotata di un microscopio. Intanto altre donne, incoraggiate dall’attenzione destata dal caso, hanno denunciato fatti analoghi. Ma in primo grado i giudici non hanno il coraggio di prendere una posizione: se pure il contagio c’è stato, le opinioni mediche presentate sono troppo contrastanti e quindi, per loro, la responsabilità non si può attribuire con certezza all’Ospedale.
Intanto, tre anni dopo aver contratto la sifilide, la vita di Amalia è già segnata: la sua piccola Adele è morta e anche suo marito Luigi si è ammalato. Entrambi i coniugi faticano a lavorare, hanno bisogno di cure continue e la terapia a base di mercurio è dolorosa. Senza contare il peso che deriva da una malattia associata, nell’opinione comune, alla promiscuità e al vizio.

Il 24 aprile 1894, inopinatamente, tutto cambia. La Corte di appello dà ragione alla donna, certifica la negligenza dei medici e condanna l’ospedale a risarcirla. La sentenza verrà poi confermata da una seconda Corte d’appello e dalla Corte di Cassazione. Nel frattempo Amalia e Luigi, non potendo pagare le spese, hanno stipulato un prestito con il loro stesso avvocato: pagheranno il dovuto non appena avranno i denari dell’indennizzo. Barbieri, ormai, è così certo di vincere che nel 1900, alla chiusura del processo, chiede un risarcimento di ben 70.000 lire. Poi, però, qualche mese dopo, a sorpresa e senza aspettare il decreto del tribunale, si accorda direttamente con il conte Isolani: a tu per tu, in cambio di 22.500 lire, la controversia viene chiusa per sempre, senza più possibilità di riaprirla. È il colpo di scena finale, ma per la coppia di Oreglia si rivela una beffa: fatti tutti i conti, le spese legali calcolate dall’avvocato superano la cifra pattuita con l’ospedale. A loro due, quindi, non arriverà neanche un centesimo.
Il resto della vita di Amalia è coperto da una cappa di silenzio. Si può supporre, però, che ben poco merito sia stato riconosciuto al coraggio con cui chiese giustizia. Eppure, come conclude lo storico americano, grazie a quel coraggio tante altre giovani furono messe in guardia e salvarono sè stesse e i loro figli da un contagio sicuro. Di recente, dopo il libro di Kertzer, la contadina che non sapeva leggere e tuttavia voleva farsi valere è tornata a parlare di nuovo, grazie agli acquerelli di Antonia Lucchese e alla messa in scena di Mirella Mastronardi. Nonostante il silenzio che la storia scritta dai potenti ha cercato di imporle, la sua voce protesta con dignità le proprie ragioni e continua a chiedere di essere ascoltata.

[Per approfondire:
‒ David I. Kertzer, “La sfida di Amalia”, Milano, Rizzoli, 2010
‒ Antonia Lucchese, “Storia di Amalia”, Bologna, Pendragon, 2015
‒ “Amalia. Una storia di balie, madri e giustizia”, testo e interpretazione di Mirella Mastronardi, regia Cristiano Falcomer, AranciaFilm, I Lunatici
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