Cari ascoltatori, quella che vi raccontiamo oggi è la vita, tratta dal portale “Parma e la sua storia”, di un pittore parmense del Seicento, Alessandro Baratta.
Nato nel 1639 e morto nel 1714, il pittore fu uno dei principali protagonisti della vita artistica della città negli ultimi decenni del XVII secolo. La sua vita si svolse tutta a Parma. Uomo pio e devoto, Baratta accompagnò l’attività pittorica a un impegno costante nella Compagnia di San Giuseppe, fondata presso la chiesa di Santa Croce in Parma. Al battesimo ebbe per padrini Alessandro Lalatta e Caterina Bolzoni. Il padre Bartolomeo e la madre Domenica abitavano vicino alla chiesa di San Lorenzo, una delle più antiche della città.
Da giovane studiò pittura presso Francesco Maria Reti, che lavorò nell’oratorio di Sant’Ilario, e a ventott’anni entrò nella Compagnia di San Giuseppe insieme a don Angelo Maria Bianchi e al canonico Agostino Bersese: i confratelli si impegnavano a eseguire alcune pratiche religiose, soprattutto a favore dei defunti, ed erano particolarmente devoti a San Giuseppe. Nel 1670 fu sagrestano, incaricato di raccogliere le elemosine, far dire le messe prescritte e seguire tutto quanto occorreva per le funzioni religiose.
La sua attività di pittore è documentata per la prima volta nel 1668: fu pagato a giornata dal Collegio dei Nobili insieme ad altri pittori e stuccatori per la realizzazione delle scene e degli apparati in occasione dell’accademia eseguita per il battesimo del principe Odoardo, primo figlio maschio del duca Ranuccio Farnese, che però premorirà al padre. L’opera, composta dal padre Cusani, si intitola Cielo e terra, Accademici creati nel portarsi su l’onde sacre il Serenissimo principe Odoardo Farnese sotto l’oroscopo de’ gigli d’oro e dell’Aquilla stellata. All’attenzione il Baratta si impose qualche anno più tardi, quando eseguì le decorazioni trompe-l’oeil in Santa Cristina a Parma, che il teatino laico Filippo Maria Galletti stava affrescando con episodi della vita di San Gaetano da Thiene, fondatore degli stessi teatini che officiavano la chiesa.
La mancanza di denaro aveva impedito la costruzione della cupola e dell’abside: a quest’ultima provvide il Baratta con una scenografia illusionistica largamente apprezzata. Scrive in proposito lo Scarabelli Zunti: “Fece un’ampia prospettiva sopra la tela, ampia quanto lo spaccato delle tre navate. Fingeva essa la crociera, la cupola e il coro con tali ombreggiature che chi entrava per la porta maggiore credeva poter visitare”. Nel frattempo diventò primo reggente della Compagnia, nel 1672, e dipinse i cartoni da esporre in Santa Croce per la grande festa di San Fermo con processione del 1671. Gli incarichi nella confraternita erano periodici e così nel 1673 lo si trova fabriciere e nel 1675 di nuovo sagrestano.
Sposatosi con Maria Lucia, abitò nella parrocchia di San Paolo. Venne poi chiamato a stimare le pitture eseguite nell’oratorio di Santa Brigida e nel 1676 eseguì alcuni lavori per il Comune, pagato 4 lire a giornata, ma lo stesso anno ebbe una nuova, importante commissione: il restauro dei dipinti nella cappella di San Giuseppe in Santa Croce e la ridipintura della volta. Come compenso, il 27 aprile ricevette 675 lire. Senz’altro appartiene al Baratta tutta la piacevole e fresca decorazione floreale della volta, nonché il medaglione centrale con la Madonna, mentre gli altri due potrebbe averli solo ridipinti. Due anni dopo (29 novembre 1678) gli morì la moglie: la fece seppellire nella cappella di San Giuseppe in Santa Croce, sede della Confraternita nella quale però non occupò più cariche, anche perché impegnato in una intensa attività pittorica. In Duomo dipinse le quadrature della prima cappella a sinistra, lavorò per i benedettini nel loro monastero, per i frati Minimi di San Francesco da Paola, per le monache di Sant’Agostino, per gli eremitani, per l’Ospedale della Misericordia e per parecchie case di nobili e religiosi. Nel 1690 venne pagato da don Ladislao Ferrari, che abitava in borgo Strinato, lire 16 per aver dipinto il tellaro del cammino e lire 48 per gli ornamenti intorno agli ovati.
Quando l’architetto bolognese Stefano Lolli progettò nel 1689 il nuovo Teatrino di Corte di fianco al Farnese, il Baratta ne fece il disegno indicandone le decorazioni e i dipinti. Vaghissimo teatrino ammirabile per la qualità dell’architettura e la ricchezza degli ornamenti: così lo descrive il contemporaneo Giuseppe Notari (1690). Alla fine del XVII secolo il barocco si alleggerisce e ingentilisce. Anche le chiese si trasformano. I consorziali, acquistata San Michele del Canale, le cambiarono nome in Santa Lucia e la ristrutturarono, affidandone il progetto a Mauro Oddi. Le statue che adornano la facciata furono scolpite da Giovanni Barbieri, mentre il Baratta cominciò ad affrescare la navata. Grandi vasi ricolmi di fiori festosi salgono verso quegli occhi aperti sul cielo in cui si muovono agili angeli danzanti con corone di fiori, di mirto e simbolici rami di palma, mentre in quello centrale Santa Lucia assurge alla gloria celeste. Ghirlande di verzura, foglie d’acanto, motivi a girali, ovuli, nicchiette riempiono ogni spazio di questo complesso apparato architettonico sospeso tra cielo e terra, in cui figure femminili rammentano la fede, la speranza, la fortezza, la carità, la sapienza al suono di un concerto celeste che ha per protagonisti disinvolti angioletti musicanti. Per la festività dedicata alla Santa (13 dicembre 1694) la navata venne scoperta. Il Borra nel suo diario annota: Oggi per la prima volta si è veduta la nave dello stesso tutta dipinta, terminata poche settimane or sono dal signor Alessandro Baratta pittore parmigiano. Anche la cupola dipinse, tra il 1695 e il 6 maggio 1697, giorno dell’inaugurazione ufficiale: Maria Vergine trionfa nella gloria divina tra un nugolo di angeli, circondata dai santi Giuseppe, Lucia, Francesco, Gaetano, Carlo Borromeo, Bernardo. Nei pennacchi campeggiano San Pietro, San Paolo, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista.
Gli ultimi suoi lavori documentati sono la decorazione della cappella costruita (1694) in Santa Maria del Quartiere dietro l’altare maggiore e di quattro volti della Chiesa dei certosini, lavoro pagato nel 1699. Pare che negli anni successivi il Baratta abbia smesso di lavorare a causa di una infermità agli occhi, in quanto nel registro della tassa per le parrucche (si pagava dieci lire all’anno) nel 1701 vicino al suo nome viene annotato orbo. Comunque, fino alla sua morte non si ha più notizia di lavori da lui eseguiti.