16 novembre 2010
“La mia vita perigliosa e sportiva”: così Alfredo Giovannini voleva chiamare le sue memorie giovanili, trascritte a matita su fogli di carta quadrettata nel 1942-43. Gelosamente custodito dalla nipote Mirella, il diario è stato ricopiato con l’aiuto di Ivan Rossi e pubblicato nel 2006 con il titolo di “Polvere di strada”. Quello della polvere raccolta in strada, filtrata attraverso fogli di giornale bucati e venduta ad Avignone come potente insetticida, è uno dei tanti episodi che hanno segnato la vita spericolata di Alfredo Giovannini, lunga cent’anni e trascorsa tra emigrazione, fughe, partenze, espedienti, mille mestieri, la guerra, il carcere, la passione per lo sport e per le donne.
Le cattive compagnie fanno il resto: si comincia con piccoli furti di frutta, si continua con il passare qualche notte fuori di casa dormendo sotto i palchi di legno dell’Ippodromo, a viaggiare a sbafo sui treni merci, e si finisce con lo scassinare le cassette dell’elemosina nel convento dei frati a Ravenna. Ma queste sono ancora solo ragazzate, che valgono al giovane Alfredo le botte del padre, custode nel carcere di Lugo.
Per togliersi da una situazione complicata, Giovannini decide nel febbraio 1907 di seguire una squadra di operai diretta in Germania. Parte da Lugo con 70 centimetri di neve, arriva in treno a Burbach, nel Saarland, dove per alcuni mesi lavora alla manutenzione delle ferrovie. Smessi badile e piccone, si trasferisce a Friedrichsthal, dove s’impiega come garzone presso un forno gestito da cesenati. Cambia ancora posto e mestiere, finché arriva a Lugano e se ne innamora. La città svizzera è piena di emigrati romagnoli pronti a dargli una mano. Ma ogni lavoro dura poco: pasticciere, muratore, cameriere, senza dimenticare i giochi di prestigio, con i quali in futuro avrebbe sbarcato il lunario. Nella pensione Giovannini si diverte, nel tempo libero, a far sparire una noce o un uovo, con piccoli trucchi da autodidatta. Un greco che lo osserva, gli propone di mettersi in società: lui come impresario e Giovannini come prestigiatore. Due giorni dopo cominciano a girare gli alberghi di Lugano e Mendrisio con un repertorio che frutta una discreta somma. A Lugano Giovannini conosce la Pierina, di cui s’innamora e che presto gli darà un figlio.
La partenza del greco lo riporta sulla strada, di nuovo senza lavoro. Per fortuna incontra un imolese che gli propone di partecipare al giro podistico della città. Alfredo, che in Germania, finito il lavoro, si allenava facendo corse a piedi con giovani tedeschi, accetta, corre, ottiene un buon piazzamento e otto giorni dopo vince il campionato di Lugano del 1908-09, con tanto di medaglia d’oro e sciarpa di campione. Fa il bis la settimana seguente arrivando primo nei 16 km della maratona di Mendrisio, mentre in quella di Luino (20 km) arriva secondo dietro il campione italiano in carica. Comincia così la sua carriera di podista, mentre prosegue la vita grama: “tiravo avanti come potevo”, scrive nel diario. “Lo sport per lui – osserva la nipote Mirella – significava correre, fuggire, partire, arrivare, libertà, vita. Fino a oltre cent’anni”.
A Lugano gli nasce il primo figlio. Per mantenere la famiglia, Giovannini si trasferisce a Gallarate, dove trova lavoro in una fabbrica, all’asciugatoio del cotone. Perde presto l’impiego a causa degli impegni sportivi; quindi da Milano, con la Pierina e il bimbo, torna a Lugo, giusto in tempo per costituire il Club Sportivo Romagnolo, correre e vincere parecchie gare, far nascere un secondo figlio di nome Custode, lavorare all’officina elettrica e alla centrale dei telefoni, e infine, nell’ottobre 1910, partire per il servizio militare.
È inviato a Ventimiglia presso il 1° Reggimento Bersaglieri. La caserma è circondata da un muro a picco sul mare, che lui scala ogni sera per andare a trovare “una tedeschina impiegata al Grand Hotel” e una sartina: “Avevo sì donna con due bambini – annota -, ma ero giovane, vent’anni, bisognava godere la vita (…) Passatempi di gioventù e ore deliziose nelle penombre notturne dei viali vicino al lungomare”. La Francia è a due passi: le vessazioni di un sergente spingono Giovannini e un altro bersagliere alla fuga verso la libertà. Un pensiero alla moglie e ai figli, alla ragazza tedesca e alla sartina, e poi via, sul primo treno che porta oltre la frontiera.
I due disertori arrivano a Nizza in pieno carnevale. Passata la baldoria, senza soldi in tasca, devono trovare i mezzi per sopravvivere. Ad Avignone vendono 70 sacchetti di polvere di strada spacciata per polvere contro i pidocchi. Sono assunti ai baracconi: montano e smontano il toboga al parco divertimenti. Giovannini fa anche l’imbonitore, i francesi ridono ai suoi sproloqui nella loro lingua. A Nîmes conosce Marinette, “la più bella donna che avessi conquistato”. S’incontrano “nella tenue luce dei fanali di città” e si amano a casa di lei. Alfredo segue la giostra a Marsiglia, dove piantano i tendoni all’American Park. La domenica va a correre al velodromo con la maglia bianco blu del Marsiglia, su cui spilla, all’altezza del cuore, la bandierina italiana. Dal 1911 al ’14 gareggia in tutta la Francia riportando molte vittorie. A Béziers è battuto per un solo metro dal campione del mondo, a Marsiglia conquista la finale per partecipare a Parigi al concorso “Atleta Completo”, che non si terrà più per lo scoppio della guerra. Intanto, monta e smonta giostre nel sud della Francia. Si ripresenta da Marinette con un giornale sportivo in cui campeggia una sua foto alta 20 centimetri, che lei ritaglia e mette in cornice. Marinette vive con il marito e la figlia neonata, che in realtà è di Alfredo, ma il marito crede sua.
Alfredo fa venire Pierina a Marsiglia e la impiega in una fabbrica di birra. Continua la sua vita vagabonda alla ricerca di un’occupazione che dura sempre poco e lo spinge a ripartire per una nuova meta. Lavora in una fabbrica di piastrelle e poi come pittore a Lione, dove corre per il Lyon Olympique Universitaire, tradisce di nuovo Pierina e gestisce senza successo un bar ristorante.
Arriva la guerra, i tedeschi marciano verso Parigi, scoppia il caos. Alfredo al porto di Marsiglia imbarca Pierina sulla nave per Genova: vuole che raggiunga i parenti in provincia di Mantova. Otto giorni dopo, anche lui sceglie di tornare in Italia, nonostante fosse un disertore. Su suggerimento del padre, si consegna a Bologna al 6°Reggimento Bersaglieri. È destinato al 7° di stanza a Brescia, da dove fugge spogliandosi della divisa militare e portando con sé solo pantaloncini, maglia e scarpette da corsa. Corre a piedi tra i campi verso Montichiari, passa a salutare Pierina che non rivedrà più (morirà nel gennaio 1915 lontana anche dai suoi figli), raggiunge Parma, dorme sotto le stelle, prosegue con mezzi di fortuna facendo attenzione a non incrociare le forze dell’ordine, salta su un tram a Milano, raggiunge Como di corsa e, di lì, passa in Svizzera, rifornito di vestiti dal fratello che è militare a Como.
A Lugano riassapora la libertà. Ma gli alberghi sono chiusi, non c’è lavoro, deve trasferirsi a Ginevra dove, al consolato francese, prende la decisione: arruolarsi come volontario nella Legione Garibaldina, con la camicia rossa dei garibaldini sotto la divisa della Legione Straniera. Allo scioglimento della legione torna a Marsiglia, dove trova impiego come pittore e vetraio. Continuano le conquiste: una divorziata, una profuga, una cuoca.
L’entrata in guerra dell’Italia riporta Giovannini, nel maggio 1915, sulla via di casa. Arruolato ancora una volta tra i bersaglieri, rifiuta i gradi di caporale ed è perciò incarcerato a Venezia. Inviato sul Carso, e sempre insofferente alla disciplina, si fa mettere in prigione per una corsa in costume attraverso i campi. A Varmo, in Friuli, saltando da muri e finestre riesce sempre a passare la notte fuori con una ragazza o una vedova, per poi risistemarsi in prigione la mattina. Finché un giorno, mentre mangia con altri soldati in mezzo a un campo, è sfiorato da alcune cannonate. Di qui la decisione di abbandonare il fronte per andare a rivedere la famiglia “prima di morire”. Attraversa trincee, fiumi e reticolati, monta su carri merci, arriva in modo avventuroso a Lugo, dove riabbraccia la famiglia e resta solo tre ore, prima di darsi di nuovo alla fuga tra le campagne. Il giorno dopo è arrestato, e la settimana seguente processato, condannato al carcere a vita, degradato e rinchiuso a Palmanova. Mentre l’esercito italiano si ritira sul Piave, è spostato di carcere in carcere fino a essere spedito in Sardegna, dove subisce un altro processo per diserzione con condanna a 28 anni e immediato rientro al fronte.
Qui s’interrompe il diario. Tornato alla vita civile, Giovannini si perfeziona nella sua arte di prestigiatore, accompagnato dalla sua sposa, Genoveffa, che gli fa da spalla. Magnetismo, lettura del pensiero, “la morte che parla”: tutto s’inventa, nelle tournées in Italia, Svizzera e Francia, per riuscire a campare. Intanto l’attività sportiva continua, fino al 1928. L’ultima vittoria, a 38 anni, è sui 75 metri a ostacoli a Forlì, nei campionati romagnoli.
L’ultima trasformazione di Giovannini è quella in fotografo ambulante. Comincia a fotografare verso la metà degli anni Venti, documentando feste, matrimoni, i personaggi e i ritrovi cittadini, avvenimenti politici e sportivi. Gli piace soprattutto ritrarre la gente comune, la vita quotidiana. In estate si sposta a Cervia, sulla Riviera romagnola, dove c’è maggior facilità di guadagno. La nipote Mirella lo ricorda a Cervia negli anni Sessanta quando, prima di cena, si ritirava nella camera oscura per sviluppare le foto. Di giorno faceva il fotografo in spiaggia, la sera gli spettacoli di prestigio nelle colonie marine.
Nella sua vita avventurosa e vagabonda, non c’è dubbio che si sia divertito. Infatti, è campato cent’anni.