3 agosto 2010
Cari ascoltatori, oggi vi presentiamo tra i “Protagonisti” della vita sociale e culturale della nostra regione Vittorio Cavicchioni, considerato dalla critica uno dei maggiori artisti emiliani del secondo dopoguerra. A Cavicchioni, che ha consumato la propria esistenza a Reggio Emilia, dov’è nato nel 1920 e morto nel 2005, Palazzo Magnani di Reggio Emilia ha dedicato una mostra antologica che si è chiusa lo scorso 7 febbraio.
Cavicchioni ha compiuto la sua formazione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e si affaccia sulla scena artistica come scenografo. Infatti, la sua la mostra d’esordio nel 1946 nella città natale è incentrata su disegni, bozzetti e illustrazioni per il teatro. Subito dopo, si dedica interamente alla pittura e tiene la prima mostra personale di dipinti nel 1953 alla Galleria Bergamini di Milano. Nel 1960 espone alla VIII Quadriennale di Roma. Le mostre che si susseguono in quegli anni documentano l’evoluzione dell’artista, dapprima vicino a formule neocubiste, poi a un linguaggio neorealista che affronta tematiche sociali e politiche, come evidenziano i quadri dedicati alle lotte sindacali delle Officine Reggiane, e quindi, nella seconda metà degli anni Cinquanta, all’informale, sull’onda dell’infatuazione per De Staël e per le esperienze legate all’Ultimo Naturalismo di Francesco Arangeli.
A partire dall’inizio del decennio successivo, l’artista lavora su temi in cui la figurazione, non del tutto dissoltasi – dai vigneti ai paesaggi, dalle donne alle città di notte, dal ciclo di Horror a quello de La nascita di Venere – assume un carattere astratto-espressionista. Cavicchioni, ora, è vicino, nello scavo impietoso sulla materia geologica di un paesaggio o sul corpo femminile, alla pittura di De Kooning. In questi anni realizza disegni di straordinaria forza espressiva e collage di particolare freschezza in cui utilizza i materiali più vari. Nella seconda metà degli anni Sessanta e per buona parte degli anni Settanta, l’artista approfondisce la sua personale rilettura del corpo femminile, visto alla luce delle ricerche di artisti americani quali Richard Lindner e del vasto interesse suscitato dalla riproposta delle opere letterarie del Marchese De Sade (si pensi al ciclo Omaggio a Sade), con il progressivo utilizzo di materiali come legno e lamiere, assemblati fino a dare vita a veri e propri bassorilievi. Il corpo femminile è visto come perenne e quasi feticistico motore del desiderio.
Nel 1979 viene edita una importante monografia, curata da Enrico Crispolti, che riesamina tutto il suo percorso. Nei vent’anni successivi, Cavicchioni ritorna a esplorare alcuni dei momenti della sua attività precedente, ma raggiunge solo di rado i vertici espressivi toccati nei trent’anni di maggiore felicità artistica.