6 febbraio 2010
Le musiche di questa puntata: Claudio Lolli, Goran Bregovic, Vinicio Capossela, Ginevra Di Marco, Nino Rota.
“Credo di avere provato l’amore, almeno una volta / con una donna travolta da correnti di fiume / bianca e moribonda come una prima comunione …”. E’ l’“interminabile abbraccio di donna di fiume / nella sua corrente di vita e di stanchezza”, quello che canta il poeta e cantautore bolognese Claudio Lolli.
Musica. Claudio Lolli: Donna di fiume.
“Donna di fiume” è una delle canzoni più belle di Claudio Lolli, scritta nel 1975 e ripresa ora nell’album Lovesongs con il nuovo arrangiamento del sassofonista Nicola Alesini e del chitarrista Paolo Capodacqua. Lolli nell’introduzione ricorda come da ragazzo, sul finire degli anni Sessanta, scacciava l’insonnia con una delle prime radioline portatili, da cui in onde corte uscivano parole in lingue incomprensibili, finché alle sei di mattina, prima di alzarsi per andare a scuola, riusciva a sintonizzarsi sulle trombe e le fanfare di Radio Tirana, che incalzavano di là dal mare. Poi arrivarono le radio libere, le frequenze si democratizzarono e diffusero una straordinaria energia giovanile. Oggi, niente di tutto questo. L’energia si è sgonfiata, la magnifica apertura al mondo si è chiusa, le radio padane – dice Lolli – fomentano l’odio contro gli stranieri, i neri, i rom. “Il normale odio oggi diffuso tra gli esseri umani” è lo stesso che quindici anni fa sprofondò nel baratro la nazione ex jugoslava. Gli uni contro gli altri armati a suon di kalashnikov.
Musica. Goran Bregovic: Kalashnikov.
Questo travolgente pezzo di Bregovic è stato scritto nel 1995 per il film “Underground” di Emir Kusturica, a ridosso della guerra balcanica. Si semina zizzania e cresce il deserto. Bum bum, parlano le armi. La vita va alla deriva, caotica, spaesata, indurita. Quando thànatos, la pulsione di morte, prevale su eros, il collante vitale tra gli uomini, si scatenano i sentimenti di autoaggressione, com’è accaduto nel conflitto che ha visto croati, serbi, albanesi, bosniaci, cristiani, ortodossi, musulmani, scagliarsi gli uni contro gli altri. Quello di oltre Adriatico è uno specchio nel quale non dobbiamo specchiarci: perché ci rimanda immagini che sinistramente ci assomigliano. Eppure, per tornare alla canzone di Lolli, l’amore per la nostra donna di fiume è lo stesso, di qua e di là dal mare – ed è un amore “negato ai beati / perché è la fiamma di un fuoco che tramanda la morte”.
“Ho baciato in bocca la morte, tesoro / e adesso non posso più guardarti e nemmeno toccarti / il furbo l’ho fatto una volta di più delle carte che ho in mano… ” – è l’anima zingara di Vinicio Capossela a parlare, ora. E’ la maga bosniaca delle tre carte, l’ubriacatura serba, i piccoli traffici kosovari. E’ il banditismo che serpeggia nelle nostre file, se l’amore muore.
Musica. Vinicio Capossela: Fatalità.
Tuttavia, i fiumi convergono verso lo stesso mare. I canali come bronchi attraversano le valli di Comacchio, portandovi il respiro dell’Adriatico e del Po. Il Po che s’impaluda nella sua strana voglia d’Oriente, nei suoi anfratti lagunari, e – dall’altra parte – la tumultuosa Neretva, il fiume di Mostar, nella “California croata”; la Krka, fiume carsico oggi custodito in un parco nazionale; lo Zrmanja, con i suoi magnifici canyon. Ma l’idillio non inganni: è Marina Abramovic, artista di origini serbe e montenegrine, a ricordarci che qui era guerra e distruzione. In una performance alla Biennale di Venezia nel 1997, “Balkan Baroque”, la Abramovic stava seduta su una montagna di ossa che ripuliva dalle cartilagini e dalla carne rimasta: era un rito purificatorio che scongiurava altri eccidi. Si tratta di incanalare in termini positivi la maledetta energia balcanica, come la stessa performer ha fatto in “Balkan Erotic Epic”, dove i contadini e le contadine serbe celebrano i riti di fertilità facendo entrare il proprio corpo in consonanza con la forza primordiale ed erotica della terra.
Musica. Ginevra Di Marco: Ali Pasha.
Questo che sentiamo è un canto tradizionale albanese che racconta le imprese di Ali Pasha, il condottiero che alla fine de Settecento liberò l’Albania dal dominio ottomano, per poi finire decapitato dai turchi. La sua testa fu portata a Costantinopoli ed esposta all’ingresso del Serraglio. Canta Ginevra Di Marco, ex voce degli emiliani CSI e PGR, due formazioni del poliedrico artista Giovanni Lindo Ferretti. In “Donna Ginevra”, il suo ultimo lavoro, la Di Marco rende omaggio alle culture del mondo, pescando anche nella cultura slava, in quel retroterra musicale dove le bande di ottoni accompagnano indifferentemente lo svolgimento di matrimoni e di funerali. Sempre improntata a questa cifra stilistica, è la rivisitazione che la cantante fa di Les Tziganes, un celebre brano di Leo Ferré, che da vero anarchico celebrava la vita nomade e libera degli zingari.
Musica. Ginevra Di Marco: Les Tziganes.
“Gli zingari – cantava Leo Ferré – vengono dal fondo dei tempi / andando avanti e indietro”. Dal fondo dei tempi, o almeno dal remoto inconscio che ci fa ridere, scherzare, delirare, viene la figura del buffone, del clown. Arte circense, arte dell’arrangiarsi – anche questa nomade e sovrana, zingaresca, balcanica, sudamericana, adriatica. Sono i clown di Fellini, cari amici, che si fanno avanti nel nostro immaginario circo. Lo stralunato augusto dagli abiti di tre misure più grandi e le scarpe giganti, ci porta la musica di Nino Rota, che vi offriamo nell’arrangiamento di Enrico Guerzoni e Franco Tamburini, dal concerto del 30 luglio 2008 per il Festival Musicando di Bologna.
Musica. Nino Rota: I Clown